Scusate tutti, se anche oggi non faccio un buon servigio all’immagine sorridente della nostra Guardia; tra un po’ arrivano gli eventi estivi, le kermesse, gli enoturisti, gli ospiti e non è bello che si parli di questo, ora, ma non sono un turista che gode delle bellezze della mia terra e va via, purtroppo mi tocca ogni tanto alzare lo zerbino e dare una spolverata. E sotto lo zerbino guardiese con su scritto “Welcome” c’è tanta polvere. Tanta polvere nascosta e messa lì lontano dagli occhi. Non voglio rovinare l’immagine che molti hanno di Guardia, ma noi che “we are in Guardia” dalla mattina alla sera, 365 giorni all’anno, dobbiamo occuparci anche di altro. Perché il vero crimine in questa comunità è rimanere in silenzio e seguitare mettere la polvere sotto il nostro variopinto zerbino. Plagiati da una dozzina (o poco più) di “spazzini” che da oltre un trentennio occultano la polvere sotto il tappetino e tengono in ostaggio questo paese.
Niente nomi. Ma un elenco. Dove ognuno è libero di metterci accanto una faccia. Una “sporca” dozzina, appunto. La loro forza nasce dalla rottura di ogni vaso comunicante, dal dissolversi di ogni ispirazione politica e culturale o anche sottoculturale di questa comunità. In loro non c’è alcuna volontà di cambiamento, non c’è nessun pensiero radicale. E questa mancanza di retroterra purtroppo non produce nei loro proseliti alcun disagio, come se tutto fosse inutile, ridondante, ingombrante, del tutto superfluo. Del resto, il filone della cultura politica in questo paese è esausto ormai da tempo e non alimenta alcun progetto di società e politica né alcuna formazione di nuova classe dirigente. È vero, la “sporca” dozzina rispecchia il paese, è quello che ci meritiamo, e noi stessi, a parti invertite e nella condizione di dominare faremmo (forse) come loro… Il paese non è migliore non è migliore di chi lo guida; ma chi lo guida dovrebbe essere un po’ meglio del paese, se assume ruoli di comando. Le individualità guardiesi svettano come eccellenze singolari, ma non c’è un sistema Guardia che le riconosca e le valorizzi, non c’è una rete o un filtro che promuova i migliori e li agevoli; manca un sistema di relazione e un criterio di selezione. Non sappiamo riconoscere le competenze, le differenze. In giro non c’è indignazione, forse semplicemente per paura, per interessi oppure perché “non è il caso”. E soprattutto non c’è traccia di alcun cambiamento neanche dietro l’attuale amministrazione che (a parole) afferma di aver rotto i ponti con il passato. La “nuova” amministrazione invece è tutto quel che Guardia non dovrebbe essere, il nome che racchiude il fallimento degli ultimi trent’anni, il nome che racchiude il fallimento della sua classe dirigente (sempre la stessa da oltre un trentennio), delle idee guida (fallimentari) e dei suoi rappresentanti sempre gli stessi, incapaci e iniqui per definizione.
Per questi motivi noi oggi abbiamo l’obbligo di dire che a Guardia oltre alla Falanghina, c’è ancora un altro prodotto doc: malapolitica e una buona dose di autoreferenzialità. Da alcuni anni la “sporca” dozzina si è fatta classe sovrastante; cioè vive al di sopra e al di fuori del paese, non si assume precise responsabilità di comando. Si estranea, non coopta nuove energie. Premessa indispensabile per sentirci guardiesi e per riconoscere l’esistenza di una comunità chiamata Guardia. Basta citarla tra noi guardiesi (soprattutto tra le nuove generazioni) e già si avverte una corale riprovazione. Come se la parola “amministrazione” contenesse in sé tutto il negativo che c’è a Guardia, e ne fosse anzi il concentrato e il distillato. Alle nuove generazioni ha tolto i sogni senza rispondere ai bisogni. Oggi coloro che affermano di essere classe dirigente di quale egemonia, non dico culturale ma anche sottoculturale, sono espressione? Hanno perso le motivazioni che muovono la politica, non più motivazioni pubbliche, ideali, ma solo personali. Motivazioni pubbliche intrecciate al movente personale che nasce dalla pur legittima sete di riconoscimento, dall’ambizione di distinguersi, dal desiderio di veder riconosciuti meriti e opere, in una scala che va dalla buona reputazione alla gloria. Le capacità non contano nulla, la memoria collettiva è labile e presto dimentica il bene come il male, i meriti come i demeriti, il decoro come l’indecenza. La visione della vita cede il passo alla visualizzazione dell’icona. Tutto istiga a dire, come il personaggio goldoniano, “se la casa brucia voglio scaldarmi anch’io”, ossia trarre profitto dalla rovina, badando ai miei vantaggi personali. Se non c’è gloria cerco denaro, se non c’è stima cerco profitto, se non c’è convinzione c’è convenienza. Il malaffare dilaga quando non devi rendere conto a nessuno, né a un Dio né alla storia, né a una comunità né alla tua coscienza. Vivi e non rispondi di nulla a nessuno.