Scrivere il libro, l’ho scritto. Uscirà a breve e racconta di luoghi e personaggi che figurano allo stato civile. Racconta Guardia Sanframondi, il paese che c’è nella carta geografica – altroché – ma nel libro è solo un’astrazione. Racconta una comunità che i suoi abitanti conoscono, e pure quella che molti ignorano. Abitudini, maniere, vezzi, così fortemente radicati, saldati alla terra da secoli di avvicendamenti, storia, usi, costumi. Ove la vita ruota spesso attorno a poche figure notabili, affette da una patologia che nel libro definisco “scicchismo radicaloide”, che movimentano quella più monotona, seppur semplice e onesta, dei molti che non hanno tempo per sollazzi e capricci e vivono di riflesso quella più pittoresca degli altri da spettatori. E allora può capitare che qualcuno senta il bisogno di inventarsi una aristocrazia che non ha e che fanciulle annoiate e ubriachiate dalla fama e dal (seppur trascurabile) potere trovino questa “modalità sciccosa” tanto pittoresca e divertente da decidere di metterla in pratica. Racconta di sciccosi democratici alle redini della collettività, nuovi radical chic post-ideologici, e anzi “post-tutto”. Le loro incoerenze pseudo-politiche, i viaggi e i luoghi del cuore, le ossessioni culinarie, enologiche e artistiche, l’infatuazione anglosassone e terzomondista, i libri preferiti e le rappresentazioni teatrali: pagina dopo pagina questo “pamphlet” temerario, costruito come uno psicodramma attorno a iperbolici personaggi, seziona con crudele divertimento i loro moralismi e i loro inspiegabili lassismi, i loro cliché e le loro velleitarie aspirazioni. Ma anche le loro inutili contorsioni da pseudo-intellighenzia agreste che si vorrebbe radicale e si rivela invece profondamente moderata, consapevole del proprio esclusivo privilegio. Un busto ortopedico applicato alla mente, alla storia e alla vita di siffatti personaggi che andremo a sezionare; è il moralismo in assenza di morale, è il rococò del finto “cambiamento”, come la posa residua del caffè, già bollito. È il primato dell’estraneo sul nostrano. È l’idea di trasformare la propria comunità a propria immagine e somiglianza. Ecco. Il carattere fondamentalmente di tragedia di questo libro non pone me come autore in una condizione distaccata, no: primo perché ho frequentato le persone che l’hanno ispirato; poi perché l’intento è raccontarne l’egoismo e il cinismo usando l’ironia della narrazione, grazie alla quale si comprende alla fine, che se fossimo nelle condizioni dei nostri personaggi chissà (forse) ci comporteremmo nello stesso identico modo.