Gli ultimi anni mi hanno insegnato che nella vita quasi tutto è mutevole: amici, passioni, partiti e virus. Poche sono le cose invariabili, monolitiche e imperturbabili allo scorrere del tempo; una di queste è la stupidità umana, di cui ho parlato diffusamente in passato e continuerò a fare con la solita ironia e disillusione, un’altra con cui ho altrettanta familiarità è la fiducia. La fiducia è una cosa seria. Che si dà alle cose serie: diceva, ormai molti anni fa, una pubblicità che l’ironia della storia vuole fosse di un’azienda alimentare. La fiducia, una parola che – soprattutto in politica e dalle mie parti – non gode di molta fortuna. Già, perché non è facile imparare a fidarsi. È chiaro che nessuno si può fidare totalmente. In qualsiasi società, serve però un livello minimo di fiducia. Fiducia nelle cose, fiducia nelle persone, fiducia nelle istituzioni. La fiducia è una cosa seria. Non se ne può abusare. La forza di una società si vede anche da quanto coraggio c’è nel fidarsi dell’altro. La fiducia, ad esempio, è desiderare che in una comunità ben definita come la nostra le persone convivano mantenendo al massimo le proprie differenze. Cosa c’è all’origine della stretta di mano? È un segno per spazzare via la sfiducia reciproca. Mi avvicino e ti stringo la mano per mostrarti che non ho intenzioni bellicose. Questo vale anche per il saluto a mani aperte da lontano, per il “ciao” che ti fa aprire e chiudere la mano. Tutto nasce sulla fiducia e sulla responsabilità. In una comunità sana chi abusa della fiducia viene allontanato. Questo evidentemente non vale per il modello guardiese. Da noi (e non solo) la fiducia è un’utopia che evidentemente non si fonda sulla fiducia verso l’altro. Qui il modello, ha finito per vedere nella fiducia un non valore. E si ritrova a incarnare il cinismo come via maestra, gli ingenui (i nati liberi dal punto di vista etimologico) soccomberanno. Premia gli scaltri e quelli con il pelo sullo stomaco. Ormai da tempo, il nostro modello di riferimento considera, rinnegandosi, la fiducia un costo, un errore, un’anomalia. Qualcuno arriva a dire che non conviene. Perché questi sono tempi di diffidenza. Ogni “alieno” è un potenziale nemico. L’amico, poi, porta in sé il germe del tradimento. La scarsa fiducia ti impone di rispondere alla delusione con il rancore. Perché ti riconosci come incompatibile con un sistema che si incarna solo in una conveniente mediocrità. Perché trovano tribuna solo le idee che sono già state sentite e digerite. Una sorta di lista di proscrizione delle parole e dei pensieri che ti fa credere che non ci siano alternative al rosario delle “grida manzoniane”.
La scarsa fiducia è il cancro di questa comunità. La scarsa fiducia suggerisce che il suo futuro è solo un’illusione. Dopo le elezioni amministrative, dove tutto viene promesso e poco viene concretizzato, a Guardia non ci salutiamo più. Una scelta irrazionale e, se ci si pensa, perfino sorprendente. Non è che prima ci salutavamo a ogni piè sospinto, tutt’altro. Prima del voto, c’era però, nonostante tutto, abbastanza fiducia per scommettere sul futuro. Lo vedevamo nei volti dei cittadini che si recavano al seggio, nei volti dei vecchi e nuovi candidati. Invece, la competizione elettorale si è rivelata un monumento alla sfiducia. E temo che il camminare “raso i muri” dei vecchi e nuovi protagonisti dell’agone politico guardiese sia proprio lo specchio della loro e nostra debolezza. La fiducia al contrario è una scommessa, forse visionaria, sicuramente realizzabile. Se vuoi ricostruire una comunità in frantumi non puoi che investire nella fiducia. Non c’è altra strada. Non sto però affatto invocando un paradiso in terra. Il mio è solo un invito alla fiducia. Riscopriamo la fiducia. Non commettiamo gli errori del passato. Rendiamo partecipe chi oggi è in grado di alzare lo sguardo oltre l’orizzonte e pronunciare quattro parole largamente abusate (le ripeto in inglese, che è la lingua dell’ultimo decennio a Guardia e comunque non conosco il cinese): “I have a dream”.