Perché non aboliamo le Regioni?

Cinquant’anni fa, con l’istituzione delle Regioni, finì il modello unitario, centralistico, che era stato nel bene e nel male il volano che aveva portato l’Italia da paese spezzettato, agricolo, analfabeta a paese unito, modernizzato, alfabetizzato. Tanti i difetti e le tare di quello stato e tante le pagine ingloriose per non dire infami: ma per cent’anni e più dalla proclamazione di Roma capitale alle Regioni, quel modello aveva retto, aveva sopportato svariate emorragie: l’emigrazione, la crisi economica mondiale del ’29, la caduta del fascismo e poi della monarchia. Il paese era cresciuto, le condizioni economiche e sociali erano migliorate, la pubblica istruzione aveva fatto passi da gigante. L’Italia dei prefetti e delle province, nell’ambito unitario e centrale, era diventata una delle grandi nazioni al mondo. Le Regioni, come le studiamo oggi a scuola, sono quindi un’invenzione piuttosto recente. Dal punto di vista istituzionale risalgono al 1948, con la Costituzione della Repubblica, con una successiva aggiunta, nel 1963, del Molise e del Friuli Venezia Giulia. In ogni caso fino al 1970, non è esistito nessun potere regionale. Con le Regioni si adempiva, si disse, un dettame costituzionale. In realtà il costo pubblico raddoppiava e il debito pubblico diventava esorbitante; il costo della politica cresceva a dismisura, col personale politico che triplicava, solo a considerare le assemblee elettive regionali, i governi regionali e tutti gli enti che derivavano. E non venivano soppresse le province – se non eliminare l’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri provinciali -, si facevano mastodontici i comuni. Nascevano le comunità montane o altre forme di rappresentanza intermedia. La sanità assunse costi elefantiaci. L’esempio nefasto fu quello delle regioni a statuto speciale, in primis la Sicilia: dovevano essere la dimostrazione di quanto fosse negativo dare autonomia alle Regioni, espandendo costi, appalti, personale, clientele, corruzione. Le Regioni non avvicinarono i cittadini alle istituzioni ma crearono un’ulteriore intercapedine che li allontanò, ingrossando la casta e i suoi affluenti e affiliati, clientes e beneficiari. La crescita abnorme delle Regioni fu infine sancita dalla modifica del titolo V della Costituzione che attribuiva alle Regioni nuove sfere di sovranità. Sono oltretutto creature artificiali: perché l’Italia ha differenziazioni storico-geografiche che non coincidono quasi mai con le Regioni. Diversità tra metropoli e province, tra zone marine ed entroterra; e nella stessa Regione differenze secolari di territori, economie, culture. Ci sono in Italia una cinquantina di territori con una loro coesione storica, mentre le regioni, più delle province, furono una forzatura. Nella nostra storia, quella da cui proveniamo, il declino italiano cominciò cinquant’anni fa. Poi l’Italia sembrò riprendersi un paio di volte: nei vitali anni Ottanta o con la svolta annunciata negli anni novanta. Ma la decadenza riprese la marcia. E oggi… Ascoltando le pretestuose e sfinenti diatribe di questi giorni tra governo e presidenti, una domanda nasce spontanea: perché invece di abolire le Province, non aboliamo le Regioni? Insomma, come dicono e scrivono in tanti, il Titolo V della Costituzione così com’è non funziona, le Regioni hanno dato prova di non saper esercitare le loro competenze. La loro azione ha sovente incentivato fenomeni di malcostume politico, smentendo così un assunto di chi, nel corso degli anni Settanta, aveva promosso l’attuazione del regionalismo: che avvicinare la politica ai cittadini significava contrastare la corruzione. Da ultimo proprio le Regioni hanno poi alimentato quella forma di antipolitica che si esprime attraverso il caudillismo dei loro presidenti, interessati ad assicurarsi un futuro politico nazionale e impegnati a cercare visibilità ingaggiando scontri surreali con il livello nazionale: da ultimo quelli sulle misure anticovid. A queste condizioni promuovere ulteriormente l’autonomia regionale suona come una provocazione, alla quale non resta che rispondere con un’altra provocazione: aboliamo le Regioni!

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