Il virus esiste, conosco gente che lo ha pure incontrato di persona. È un virus vigliacco. Questo però non vuol dire che l’unica politica possibile per combatterlo sia chiudere la gente in casa, limitarne le libertà, invocare periodicamente il lockdown su ogni media ed ogni santo giorno. I media infatti, dai bollettini dei contagi alla cattiveria del virus, non fanno altro che ricordarci l’ovvio: le cose vanno male e fra schiere di laureati nei nuovi atenei dei social che si ergono a guru affrontandosi a colpi di teorie paradossali per evidenziare il proprio disagio, se c’è una cosa che più di altre anima il discorso pubblico, che fa parlare e agitare le persone, è la paura del contagio. È una paura assoluta e trasversale, che colpisce ogni ambito di vita. La paura è la protagonista assoluta. La paura del contagio, la paura del collasso economico, paura della nuova povertà, paura di incidenti e disgrazie collettive… Paura di tutto e tutti. Abbiamo sostituito alla realtà la percezione della realtà; quel che conta è la nostra percezione. Viviamo un’epoca soggettiva, impressionistica, emotiva: mascherina, distanziamento sociale, igiene… Avete notato che si stanno ammalando anche i vip? Come si spiega? Ma la domanda è: cosa si può fare? La situazione attuale vede la popolazione divisa in due categorie, quelli che danno priorità alla vita e quelli che la danno alla libertà, intente a scornarsi vicendevolmente in nome delle personali esclusive esperienze e necessità e dando agli altri degli egoisti. Esiste anche una piccola categoria formata da quelli che cercano di mantenere un minimo di equilibrio ed obiettività, sfanculata violentemente dalle altre due perché rifiuta di schierarsi. E vabbè. Viviamo nella società della paura e costruiamo il consenso politico ma anche la nostra vita sulla base della paura. Paradigmatico è il caso del lanciafiamme di quel tizio che ce l’ha con “Allouinn”. Non riusciamo a provare a livello pubblico sentimenti positivi o ambizioni costruttive; ci unisce solo la rabbia, il disprezzo e la paura, vera regina dei popoli. Viviamo in una società di codardi, che vivono barricati nella loro sicurezza e temono ogni eventuale esposizione al rischio, una società spaventata che non a caso è anche una società popolata da anziani. Una società vigliacca che ha paura anche della propria ombra… Ci si affida a virologi ed esperti dal curriculum chilometrico che hanno cambiato più versioni dello zio Michele di Avetrana, ma sempre sfoggiando continua sicumera ed autorevolezza, fino al limite della boria. Le misure adottate pertanto rimangono intermedie, limitate dalla paura di affossare definitivamente un’economia che annaspa. Per l’opposizione invece è Natale: possono scagliarsi contro qualsiasi dichiarazione, proposito o normativa anche contraddicendosi nell’arco di un sospiro, cavalcare il crescente malcontento favoleggiando soluzioni alternative o non dandone alcuna, alternando tentativi di sabotaggio a richieste di responsabilità e collaborazione, senza comunque sporcarsi le mani o portare pesi e colpe. La pacchia totale, intaccata solo dal non poter mettere le mani sulle future allettanti risorse, ma mai dire mai. Tutto per il bene del popolo, beninteso. No, non cerchiamo i colpevoli perché è un meccanismo, un processo generato da più cause, non diamo la colpa nemmeno a chi vive nella paura. Qualche colpa semmai ce l’ha chi vi specula, come gli imprenditori della paura. Per il resto abbiamo smesso di osare, di tentare nuove imprese, di rimetterci in gioco e ci spaventa ogni rischio di insicurezza. Non serve neanche dirci che le cose vanno male. Quello lo sappiamo. Occorre darci una opportunità, una speranza, che non sia il chiudetevi in casa e il non uscite. Un’alternativa. Un po’ di fiducia. Cose di cui la classe politica ed i media nel nostro caro e vecchio Occidente democratico non sembrano essere più capaci. Si brancola nel buio, guardandosi attorno per capire come arginare i numeri in crescita senza far incazzare troppa gente che, puntualmente, s’incazza. Ci rinchiudono in casa perché la sanità è allo sfascio, non perché il virus sia mortale, come ormai ammettono tutti. Chiudono le scuole perché i trasporti sono stracolmi (lo erano già quando andavo alle scuole medie). Dello svago, dei viaggi, della cultura non ne parliamo proprio… Una larga, lunga, profonda depressione attanaglia la gente nei suoi più intimi alveari. Se togli a un uomo i contatti, le prospettive elementari di futuro, il lavoro, i rapporti famigliari; se fai avvertire che ogni prossimità è peccato, ogni cena è peccato, ogni festa è peccato mortale, un paese piomba in una depressione senza pari. E a Capodanno, come scriveva qualche giorno fa un noto filosofo, tampone e lenticchie. Io speriamo che me la cavo…