L’Italia cambia, l’Europa cambia, il mondo anche, gli italiani persino. Una sola cosa non cambia mai: il guardiese e chi ogni cinque anni pretende di occuparsi di politica; i trafficoni, gli intrallazzatori, i prenditori travestiti da imprenditori, ansiosi di arraffare i soldi pubblici, usando i loro rappresentanti istituzionali come grimaldelli per scassinare il caveau. E i nostri vecchi e intramontabili candidati, anche quelli che si credono giovani perché sono stati, stanno o vorrebbero ritornare in Comune solo da 10, 20 o 30 anni. Il classico modus operandi di una classe politica e dirigente e di un’intera generazione che (purtroppo) ancora cammina piegata a 90 gradi da 10, 20 o 30 anni e che non può raddrizzarsi all’improvviso. Ora, capire che succede e succederà nei prossimi giorni di campagna elettorale a Guardia è meno difficile che capire cosa vogliono le due liste in campo e a cosa servono i candidati sindaci. Entrambe hanno un capo provvisorio poco carismatico e un socio fondatore ingombrante che ogni quinquennio si ricordano di esserlo e molti aspiranti capataz che si ritrovano a essere molto meno popolari di quel che appaiono. Quel che si sa, non c’è bisogno di essere un indovino, è che anche stavolta non si assisterà a nessun derby senza esclusione di colpi tra le due compagini della scena politica paesana. Niente colpi bassi, trucchi dialettici da seconda media, sgambetti e paradossi: ma la solita solfa che diventa addirittura ridicola quando si svolge sui social a colpi di post. Se un giorno qualcuno dovrà battezzare l’epoca che stiamo vivendo, la chiamerà l’Era dello Smemorato. Del resto fra eredi della “Cossa” e smemoratezza c’è un preciso nesso causale: e se conservassimo un po’ di memoria, in queste elezioni, non saremmo infestati da tanti mitomani di successo. Prendete i due candidati sindaci. Vogliono fare il sindaco ma non si ricordano più chi erano. Come Alberto Sordi nel film “Troppo forte” di Carlo Verdone, nei panni di un avvocato, che un bel mattino si sveglia ballerino e coreografo, indossa una tutina aderente e improvvisa una danza davanti ai clienti disperati, mentre le anziane sorelle ricordano “quando faceva il dentista e cavò tre denti al fruttivendolo che gli fece causa perché erano tutti sani”. Ora, che Sebastianelli e soci si credano il nuovo che avanza e, nel tentativo di promuovere quella ciofeca del loro programma, ci dicono che il loro motto è la coerenza, il problema non è che qualcuno gli da retta, il problema è che nessuno glielo fa notare.
La mia critica è questa. Non aver ancora colto e fatto proprio il vero motivo dell’ostilità – per alcuni preconcetta e per altri irriducibile – dei cittadini guardiesi nei loro confronti, che non sono odiati per le loro incapacità, per le loro non sempre limpide carriere, ma per i loro demeriti: cioè per aver sempre spadroneggiato e ora impazziscono per la possibile astinenza. Questa è la partita che si sta giocando: vecchi e nuovi forchettoni (pensate ai giochetti delle candidature “sfascia famiglie”) marciano sulla punta non delle baionette, ma delle consulenze, dei piccoli favori, degli incarichi, per risedersi al tavolo. Anzi a tavola. E spartirsi la torta. Diceva Totò: “C’è a chi piace e a chi non piace”. A noi non piace. Come non piace che chi in questo paese sconta la fama di sfasciacarrozze, creata dai retroscenisti e dai rivali interni, viene allontanato con pretesti ridicoli. E certe cose non c’è neppure bisogno di ordinarle. Si fanno col pilota automatico, conoscendo i desiderata del(i) dominus. Ma questo è un altro discorso.
Comunque – e parlo della lista Esserci -, quando un gruppo di persone tenta perlomeno di contrapporsi all’egemonia del dominus guardiese, è sempre un buon segno: di vita. Anche se non ci frequentiamo, sono un po’ amico con larga parte di loro. Ma non aver ancora sentito in questi primi giorni di campagna elettorale una critica, un rimbrotto, nemmeno un commento a margine, nei confronti del decennio panziano, mi ha fatto male. Non per me, che – dopo mezza vita passata a denunciare giustamente l’amoralità, il malaffare, i conflitti d’interessi politico-affaristico di questa infima classe politica e dirigente – non c’entro niente. Per loro.