Oggi non è un lunedì qualunque, quelli del solito tran tran che inizia, perché non c’è nessun lavoro lento o monotono che sia. So, invece, che bisogna anche ridere, e io in questo lunedì strampalato rido guardando i video, le vignette satiriche che invadono il web (l’ultimo è uno che si costruisce una specie di enorme tutù di cartone per tenere le persone a un metro di distanza), le immagini di un cagnolino incazzato che dice al padrone di averla già fatta, e non vuole uscire di nuovo, una scritta che implora: “Aprite i bar o moriremo tutti!”. So che bisogna sorridere. Eh, lo so. E che da qualche giorno non ci sono abituato. Soprattutto adesso che siamo nel mezzo di qualcosa che assomiglia a una guerra. Che va peggiorando giorno dopo giorno, e non sappiamo quando vedremo la luce. Un nemico sottile, invisibile. Che non ti fa muovere. Devi stare in casa. A me basterebbe uscire qualche ora, salire in macchina che non contagio nessuno e non mi fermo mai. Fino a un posto che conosco, e sto lì bello solo soletto tutto il giorno. Ognuno ha i suoi sogni. E pensa alle cose che sogna, quando non le può fare. Cosa mi manca, adesso? Non cose grandi. Cose qualunque. Qualcosa di semplice e normale, come il caffè al bar, un caffè qualsiasi al mattino, anche un caffè al ginseng. Una pizza al ristorante, una birra, una passeggiata, un aperitivo da “Geppino”, un silenzio, una chiacchierata, ho solo il divano noioso in un lunedì disuguale. Bisogna che te le neghino per scoprire l’importanza delle cose semplici. Tutto è improvvisamente prezioso e straordinario. Ma dopo un po’ ti ci abitui, e torni a essere quello di sempre, che dava certe cose per scontate, che trovava altre cose noiose, e nulla di eccitante in una serata davanti la tv. Ti viene da fumare e poi ci ripensi, perché è davvero stupido portare le mani alla bocca per una sigaretta. È tempo di smettere. La vita appesa a un balcone. Sul balcone si canta e si balla. Il balcone supplisce la noia. Mi manca sentire il traffico, mi manca il rumore. Restiamo chiusi in casa: con le mostre paure o ossessioni. Nervosismo o diffidenza. Pop corn, poche sigarette, e cultura. Non bisogna uscire per frenare il contagio, per proteggere le persone a cui vogliamo bene. Tutti si sono convinti. Avevano solo bisogno di vederci un senso e lo hanno trovato. La comunità dove vivo si è rinserrata da sola, quando ha sentito la voce strozzata dei medici in tv, quando qualcuno di loro ha detto che qui si gioca a dadi con la morte. Lo ha fatto barricandosi in casa, senza agitarsi, con dignità. Nessun sospiro, nessun lamento, niente abbracci. Niente di niente. Perché questo è un gioco a nascondino, infido, senza tracce. La comunità è rarefatta. Oltre c’è il deserto. Non ci si muove o ci si muove a distanza, grazie ai social. Per le strade non c’è nessuno. Chi sta aperto come la farmacia e il supermercato, sembra quasi sentirsi in colpa. Vedi passeggiare gente in compagnia del cane di qualche parente. L’impressione è che lo facciano per rassicurarsi. I cani non hanno paura del virus. Non lo so quando sarà, non so che nome inventeranno – rinascita, liberazione, guarigione, fine dell’incubo, uscita dal tunnel, decoronizzazione, non importa – ma voglio farli durare a lungo, quei sogni delle piccole cose. L’importante è perdere le illusioni: la scienza dice che il picco deve ancora arrivare. Ma ne usciremo. E anche i bar riapriranno. Però niente torna come prima, dopo.
Se la quarantena dura troppo se ne andranno a schifio i buoni propositi e abituarci a star più soli saremo tutti più incattivito
Solo se dura poco ancora si può coltivare sogni e speranze e nostalgie di affetti e emozioni.
Leggiamo Boccaccio e come la peste incattivi’ alla gente e riflettiamoci su.
La storia dovrebbe insegnarci qualcosa!!!!