Mascherine obbligatorie. Esercito. Quarantena. Governatori che addirittura invocano sinologiche fucilazioni sul posto per i trasgressori. Sindaci sceriffi. Sindaci alla ricerca di visibilità. Ordine. Panchine off limits. Posti di blocco. Autorità. Stato di Polizia. Pieni Poteri. Sindaci che si sentono importanti perché vengono intervistati dalle tv, si credono leader perché i giornali se li filano. Divieto di passeggiate. Distanza. Abbracci. Coesione nazionale. Focolare domestico. Tutti a casa. Tutti sui balconi. Tutti a cantare. Sindaci frustrati che dicono tutto e il contrario di tutto. Teatrino dell’assurdo. Disciplina. Sindaci arroganti, gonfi di ego, belli abbronzati come Narcisi che godono nel vedere l’Italia in difficoltà. Obbedienza. Sanzioni. Ordinanze. Ordinanze giuridicamente illegittime e inefficaci. Niente viaggi. Niente matrimoni. Niente funerali, adesso, niente fiori nei giorni in cui i nostri giardini esplodono di pruni e magnolie, niente orazioni. Mancano i posti letto in terapia intensiva, guanti e mascherine per medici e infermieri e c’è chi pensa alle canzoncine sui balconi. Surreale. Trovo l’atmosfera che stiamo vivendo più attigua alla commedia che alla tragedia, pur nel dovuto ossequio nei confronti dei contagiati. Non sembra di vivere nello stesso paese di qualche settimana fa. Tutto è cambiato, sul filo del coronavirus e della paura. Non solo, ovviamente, per le misure eccezionali adottate; ma per il messaggio che le accompagna, il sostrato profondo a cui si appella. Più degli “arresti” domiciliari soffri e avverti che il vento è cambiato quando senti in tv appelli alla nazione e agli italiani in tenuta da guerra, evocare addirittura l’unicità del comando, un solo capo che decida su tutto e per tutti… Il paese dove vivo è stato appena sfiorato dal contagio. Ma io sono tormentato lo stesso. Ieri sono uscito in auto per prendere il pane e qualche genere di conforto (sigarette), adesso hanno le mascherine quasi tutti, e molti anche i guanti. Forse hanno ragione tutti quelli che se ne fregano, quelli che il mondo resta sempre uguale, con se stessi al centro. O quelli convinti che il mondo stia per cambiare più di quello che noi pensiamo: e tutto cambierà, a cominciare dall’economia, e non sempre in meglio. Forse ha ragione anche chi dice che occorre semplicemente affrontare la realtà, essere pratici, realisti, tenendo a mente cosa è necessario per dare efficacia alla profilassi e alla ripresa di un paese in ginocchio. E forse ha ragione pure chi dice che l’ordine di queste ore è un bene e non un male, che lo Stato dev’essere autorevole e non minimo o permissivo, che il decisionismo di chi guida una nazione dev’essere ampio e forte, tempestivo e responsabile, che quello che stiamo vivendo non è l’anticamera della dittatura; e che la disciplina e l’ubbidienza sono virtù da coltivare, non brutte piaghe da estirpare; e che la coesione nazionale è sacrosanta; e che qualunque sia il criterio occorre qualcuno che sia in grado di stabilire il metodo e farlo osservare. Forse…