Vi ricordate di Matteo? Ma sì, Matteo. Anzi, Matteo il fiorentino. Il bulletto di Rignano sull’Arno, insomma. Dai che ve lo ricordate, su. Non vi ricordate quando era il leader più amato, quando tutti nel 2013 pendevano dalle sue labbra rottamatrici? Quando persino Berlusconi (dopo avergli proposto addirittura la guida di Forza Italia) gli propose un patto, ricevendone un benevole assenso? Che c’entra con l’oggi? Niente, forse. Ma pensavo a lui, vedendo la sua intervista, la scorsa domenica, da Lucia Annunziata, scamiciato in contesto bucolico, con grata fiorita alle spalle. Pensavo a lui e ripetevo: niente, non riesce proprio a farsi da parte. Pensavo a Renzi e vedevo e sentivo un marziano. Lo sentivo parlare (ancora) come se fosse quello del 40% delle europee del 2014, quando tutta l’Italia stava con Matteuccio (a dire dei giornali). E lui ci credeva. Lo vedevo varcare il portone del Quirinale con la lista dei ministri del suo primo e ultimo governo. Parlava come mangiava, non pareva avere scheletri nell’armadio e soprattutto nessuno poteva imputargli nemmeno un grammo di responsabilità dello sfascio a cui i governi precedenti avevano ridotto l’Italia. Faceva notizia anche quando leccava il gelato nel cortile di Palazzo Chigi. Poi pensavo a lui e a quando, tre anni dopo, alla stazione romana Tiburtina, è salito sul “Treno dell’Ascolto” alla volta delle 107 province italiane (che voleva abolire): ha ascoltato più fischi, pernacchie, maledizioni e insulti (i più gettonati, fino alla monotonia, erano buffone, vergogna, Pinocchio!) dei già molti che meritava. Addirittura in Puglia domandò a una signora “Come sta?” e lei, prontissima: “Com’ammamete”. E che dire poi dell’idea geniale di occupare militarmente la basilica di Paestum (all’insaputa del vescovo) e improvvisare dal pulpito un’omelia-comizio per le truppe cammellate di don Vicienzo De Luca e del fido Franco Alfieri, quello che doveva offrire fritture di pesce in cambio di Sì al referendum. Pensavo a quella scena e provavo a immaginare quale sarebbe stato il suo destino se in questi anni non avesse controllato le tv e se i cosiddetti editori di giornali non fossero stati quasi tutti col cappello in mano davanti a Palazzo Chigi in attesa dei soliti favori. Chissà, forse le Annunziate, le Gruber, i tg, i talk show e i quotidiani avrebbero parlato di quel che interessa ai cittadini, cioè di quel che succede nella vita reale di tutti i giorni. Per dire, il bulletto non sarebbe stato in grado di fare assolutamente nulla. Invece – come scriveva Travaglio – non c’è stato un suo sospiro o flatulenza che non veniva solennizzato dalla pseudo informazione come il Sacro Graal. Pensavo a lui e sentivo il suo vantarsi di essere il primo in tutto, quello che “prima di noi non si è fatto nulla”. Lo sentivo parlare di quelli della sinistra che hanno sbagliato Matteo. Dei Cinque stelle, di bulli e di migranti alla deriva nel Mediterraneo (apriti cielo: fascisti, razzisti, sciacalli, xenofobi, leghisti, lepenisti, trumpisti), tanto per dire qualcosa e raccattare qualche like (ammesso e non concesso che qualcuno ancora ci caschi), dimenticandosi però di aggiungere che: “Siamo stati noi a chiedere che gli sbarchi avvenissero tutti in Italia e che il coordinamento fosse a Roma, alla Guardia Costiera e che gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia, lo abbiamo chiesto noi, l’accordo l’abbiamo fatto noi, violando di fatto Dublino”, come hanno ricordato a luglio del 2017 le parole della Bonino. Lo sentivo parlare ancora una volta di rivoluzione. La stessa che aveva promesso nel 2013. Quando invece hanno prevalso i vecchi metodi: raccomandazioni, conflitti d’interesse, rapporti con i poteri forti. Quelli, per capirci, di un misero “traffichino” di provincia, il capo di una banda intenta, più che a governare il Paese, a curare i propri interessi e quelli degli amici degli amici. Lo sentivo parlare di meritocrazia: “La meritocrazia è l’unica medicina per la politica, per l’impresa, per la ricerca, per la pubblica amministrazione. Gli amici degli amici se ne faranno una ragione”. “L’Italia con me sarà un posto dove trovi lavoro se conosci qualcosa, non se conosci qualcuno!”, s’impegnò allora Renzi. Invece nelle Spa pubbliche ha nominato raccomandati di ferro, amici senza curriculum, manager privi di laurea. Invece di basarsi sul merito ha selezionato la nuova classe dirigente con i soliti metodi. Fondati sulla cooptazione, sulle relazioni personali e amicali, sulle spartizioni partitocratiche e la mediazione – ça va sans dire – con gli immarcescibili potentati. Anche perché Renzi una sua classe dirigente non l’ha mai avuta (vedi le facce patibolari e i quattro compari di strapaese che si è portato appresso) e, per le cose serie di soldi e affari, ha preso a prestito quella vecchia. Appena arrivato al vertice poi, ha in primis occupato tutte le poltrone con leopoldini, fiorentini e vecchi sodali. Una ributtante simonia fra interessi pubblici e privati, per fare soldi col minimo sforzo. Domenica lo sentivo parlare di inciuci, alleanze di governo contro natura e subito pensavo ai patti con Alfano e Verdini, agli inciucioni con Berlusconi, ecc… Pensavo alla Buona Scuola, all’Italicum e al Rosatellum, alla controriforma Boschi, al Jobs Act, all’abolizione dell’art. 18 e della tassa sulla prima casa, ai voucher, al ponte sullo Stretto, ai regalini a Mediaset, allo sfascio della Rai renzizzata, alle leggi anti-magistrati e pro-evasori, ai bonus acchiappavoti, ai pappa-e-ciccia con banchieri, Confindustria, ecc… ecc… ecc… Pensavo alle indagini sul Giglio un tempo Magico e ora Tragico, che quasi nessuno voleva vedere. E così, nonostante le precisazioni e i distinguo, è diventato in pochi mesi il leader politico più odiato d’Italia. Più odiato persino del redivivo Silvio Berlusconi. Cos’è dunque successo al giovin rottamatore? C’è forse una cosa, una soltanto, toccata o sfiorata da Renzi nei suoi tre anni scarsi di governo che non sia regolarmente finita in mille pezzi? Intendiamoci: non tutte le disgrazie d’Italia sono solo colpa sua. Né vogliamo cedere ai pregiudizi irrazionali e calunniosi sui suoi presunti superpoteri jettatorii. Già è depresso per quest’improvvisa astinenza da potere, da tutto. Un po’ di tatto, un pizzico di delicatezza, che diamine. Ma ora siamo alla resa dei conti. E, finalmente solo, si rivela per quello che non era, ma si è condannato con le sue mani a essere: non uno statista ma un quacquaracquà, non una risorsa ma una zavorra per sé e per gli altri. Risalire la china non sarà facile. Malgrado ciò, il bulletto fiorentino, nonostante sia un senatore semplice ridimensionato dagli elettori italiani, in missione segreta (cioè preannunciata a tutta la stampa mondiale), continua a frequentare il bel mondo del potere e di lobbying ben remunerato, povero di elettori, ma ricchissimo di fondi e finanziamenti.
👍
Ottima analisi
Possibile che tutti i nostri bravi politologi, giornalisti, economisti, tuttologi, hanno chinato la testa o sono stati ciechi?