Il canto del cigno del “Rottamatore”

Renzi non è cambiato affatto. È sempre lo stesso. È il discorso pubblico ad essere mutato nei suoi confronti: molti adulatori di ieri si sono trasformati negli scettici o negli accusatori di oggi e non per i tanti infortuni e le troppe schifezze che abbiamo visto in questi ultimi anni, ma perché si ritiene che Matteo Renzi abbia svolto così bene il suo compito di prendere per il naso gli italiani, che oggi raccoglie dappertutto malumori e ostilità. È diventato inutile, anzi pericoloso. Pure i fischi lo hanno abbandonato. Resta l’indifferenza. L’indifferenza, che dopo una lunga stagione di splendore artificiale, si abbatte su chi prima era celebrato come baldanzoso aggressore al “vecchio” in favore del nuovo e che adesso cerca scompostamente di apparire come una sorta di tribuno popolare che si batte contro gli stessi poteri che lo hanno innalzato al trono. La stessa indifferenza che, come scrisse Oscar Wilde, “è la vendetta che il mondo si prende sui mediocri”. L’irrilevanza con cui viene accolto in questi giorni ogni volta che scende dal treno delle meraviglie comunica un sentimento da capolinea: non lo fischiano nemmeno più. È accaduto a Benevento, nella sua veloce comparsa. L’apparato, stampa, tv, nessun pubblico. E un grigio silenzio come benvenuto. Eppure, c’è stato un tempo, per Renzi Matteo da Rignano, quando al suo passaggio si spostavano moltitudini bibliche e plaudenti. Incarnava la speranza declinata a uso del marketing. Giovane e fiammeggiante, portatore della rottamazione, vendicatore dei torti, diserbante dei privilegi, arcangelo immacolato del nuovismo. In molti lo vedevano così. Poi venne un altro tempo – dopo il referendum -, quando è fallito il suo tentativo di manomettere la costituzione, palesando la sua perdita di credibilità e invece di ritirarsi in un eremo, come avrebbe fatto chiunque altro, è tornato più invelenito e arrogante di prima. Quando l’antipatia prendeva comunque la forma di un dissenso robusto: proteste, fischi, insulti, un capovolgimento degli amorosi sensi di un’epoca trascorsa che comunque conferiva imponenza alla tua figura. Da allora lo stesso conglomerato di potere che lo ha innalzato al trono ha ordinato di passare dall’esaltazione alla critica: in questo modo, la supposta foga di cambiamento del bulletto di Rignano è diventata insolenza e sfrontatezza, l’abilità manovriera è stata degradata a capacità di menzogna, mentre le sceneggiate da statista della mutua messe in piedi sulle banche, sul babbo, sugli immigrati, sulla Consip, adesso persino su Bankitalia, non incontrano più critiche favorevoli al botteghino dei grandi giornali. Non giriamoci intorno: il problema, ormai, è lui. Ciononostante Renzi è sempre Renzi, ma sembrano due persone diverse a dimostrazione dell’importanza della comunicazione e della sua capacità di creare di cambiare i personaggi. Una possibilità amplificata dall’inesistenza della politica e dal rilievo che assumono le facce. Ma adesso l’istantanea renziana ci offre una ben mesta immagine. Quel treno in giro per l’Italia racconta una scarna partecipazione. Non più cittadini semplici – in un modo o nell’altro – al suo cospetto, ma soltanto profili da santino elettorale, con la faccia tirata da un sorriso di circostanza: solo frammenti di apparato. E una sconsolante assenza di popolo, fischi compresi. Il capolinea, appunto. Tra una settimana alle elezioni siciliane quasi sicuramente il Pd e il fritto misto che ha aggregato rischia di arrivare al terzo posto o addirittura al quarto e a quel punto il fuggi fuggi dalla barca sulla quale erano accorsi torme di clientes per aiutare il vincitore sarà inarrestabile, anzi è già cominciata con le dimissioni di Grasso. A quel punto Renzi diventerà prima un reprobo poi un incidente e infine apparirà lontano come un ricordo mentre  il suo compito di carceriere sociale sarà preso da qualcun altro, da qualcuno ancora vergine di maledizioni. E non resterà nient’altro che lo spettacolo malinconico di un potere in dissolvenza, circondato dalla solitudine, della tavola che fu imbandita e ricca, con le ultime e sparute briciole. Resterà l’indifferenza che giunge col suo sigillo finale a chiudere la storia. Oscar Wilde, che non è certamente un gufo grillino, scrive: “C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di sé”. Magari, tornando a casa una sera e affondando stancamente il cucchiaio nella ribollita preparata da Agnese, Matteo andrà alla ricerca del tempo della Leopolda. Che è tutto e sempre di più tempo perduto. E così sia. Oggi comunque vola da Obama, a Chicago, e per tutta la settimana ce lo siamo levati dalle…

Un commento

  1. Obama: cari italiani, non strappatevi le vesti, ma il Bischero Fiorentino verrà trattenuto a Chicago e sarà nominato docente emerito presso l’Università di codesta città per un nutrito numero di conferenze come esperto di divisioni e disfacimento di socialità dei partiti politici.
    Non chiederemo l’estradizione.

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