Il Medioevo dello stakeholder

È imbarazzante. Uno sfoggio di potere, una famiglia, l’ego di un uomo solo e la sua schiatta di familiari. L’ennesima improbabile passerella che se la suona e se la canta. Che non incanta più nessuno. Il popolo è inutile. Non serve a nessuno. Tranne all’egocentrico e al suo cerchio magico come bacino di consenso. C’è chi se ne è accorto da tempo. Chi fa finta di non vedere. Ma, come ogni cosa, ognuno ha il suo target. Quelli che si dicono dissenzienti tacciono. O stanno preparando il regicidio o sono atterriti dall’idea di una battaglia che li porti fuori dai giochi. O peggio, di piombare nel dramma dell’oscurità. Egocentrismo, ambizione. Maledetta Ambizione. Non c’è modo di dimenticarsi di te in questo paese. Smart, Green e Wine. Demiurghi del territorio, nel quale l’aggettivo straordinario gareggia con il termine bellezza, col vino. Il Vino però come status symbol. Ci sono i tavoli, un palcoscenico bello e trendy come una novella Leopolda medioevale. Una splendida metafora: il Medioevo dello stakeholder. Non c’è un vero programma se non quello vago di “analizzare le criticità presenti in agricoltura e nel sistema produttivo ed economico territoriale”, e di elaborare “una serie di proposte innovativo e tecnologiche per il territorio”. Oh yes! Tanti gli ospiti, quasi tutti esterni, invitati, molti assenti. “Decisiva la manifestazione di sabato pomeriggio alle ore 18,30 “, raccomanda l’egocentrico, impegnato a mandare sms con lo smartphone. Si… va bene! Paradossi. Ma come? E il Ministro? I tavoli della novella Leopolda in 35 ore ininterrotte (dicono) hanno prodotto cumuli di documenti, proposte, punti, varie ed eventuali. È tutto un tavolo, tutta una partenza e nessun arrivo. Soprattutto, nessun percorso. Neanche nella loro mente. Li chiamano “gruppi tematici”, una decina (particolarmente sottotono), se la suonano e se la cantano: con la “famiglia” che organizza, dirige, muove perennemente le braccia a indicare tu qui, tu là, e sbuffa per ogni sbavatura, con l’ansia e la visione da capo ufficio. Si discetta di tecnica, di innovazione, di agricoltura del futuro, di idee, di vini e cibi pregiati. Di eccellenza delle emozioni. Gli interventi si susseguono, come in tutte le kermesse organizzate dell’egocentrico. Promesse tanto al chilo, così grasse che non si possono mantenere. Chi c’era racconta che il suo intervento di apertura è stato tutto solo una linea guida: “In un futuro prossimo non sappiamo se nelle nostre vigne ci saranno mezzi agricoli alimentati da particelle subatomiche o computer quantici da gabbare il tempo di maturazione dell’acino, viaggiando avanti e indietro come se l’universo fosse una clessidra…”. Magari sui trattori ci saranno robot a prova di Glifosato – aggiungiamo noi – e la vendemmia la farà un’androide dagli occhi verdi. Peccato che in questo paese il futuro è solo un’ipotesi. L’importante però è immaginarlo, perché se non lo pensi non arriva e si resta presente che si ripete giorno dopo giorno, sempre uguale, sempre lo stesso. Ed è quello che da un po’ troppo tempo stiamo vivendo. Quanti futuri in fondo sono già alle nostre spalle? Sono tutti futuri pensati tanti anni fa. Futuri leggeri, che lasciano spazio al caso. Sono anni che abbiamo smesso di pensarlo il futuro in questa comunità. Purtroppo.

Ps. Photo-opportunity. Il Prof. Aniello Cimitile è pronto: suona la campana, e chiude l’Hackathon!

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