Il popolo degli invisibili

Il partito del non voto esiste. Non è un miraggio. Non è un’astrazione. È quel “partito” di italiani che non vota e che da sempre è ago della bilancia. Astenuti, indecisi e delusi dalla politica. Non ha leader, non ha bandiere, non va in televisione e non fa congressi. E quel partito che accende la tv e vede un’aula sorda e grigia che vota con sordido grigiore una legge bruttissima, detta Rosatellum, che risponde a una sola logica, che è poi quella che prevale da anni: essere utile a chi la fa, più soci e affini. Se si esclude una piccola pattuglia di dissidenti e d’imboscati che la boicotta (ma non per una questione di principi e di idee, ma perché quella legge li penalizza, li tromba), il vero problema di questa legge è proprio quello: è meschina come le precedenti, serve solo a interessi di parte e a scopi contingenti, tradisce come le precedenti il popolo sovrano, impedisce il diritto costituzionale di scegliersi i rappresentanti. E sarà cambiata alla prossima tornata, perché cambieranno esigenze e attori protagonisti. Ma il dramma che ci resta è il partito del non voto, è non sentirsi rappresentati, non trovare tracce alternative di credibilità da nessuna parte. Solo un penoso minuetto di casi personali o di clan, di cui continuano a trastullarsi gli ultimi giocolieri che si divertono a sfornare presunte spiritosaggini in forma di varianti lessicali al Rosatellum, tutte col suffisso tellum. Che pena. Poi, si sa, approvata la legge, salvo miracoli, dalle urne non uscirà alcun governo, alcuna maggioranza e si dovrà riprendere la menata degli inciuci; quanto mi dai quanto ti do, con lui si, con lui no, o perlomeno non davanti a tutti. In tutto questo teatrino, il partito del non voto ama nascondersi sotto il mantello magico dell’invisibilità ed è pronto a sfondare qualsiasi quorum. Come in Spagna e in Olanda questo è l’unico partito che non avrebbe problemi a governare. Il Governo è suo, solo che la poltrona che adesso occupa Gentiloni resterebbe vuota, come il più rarefatto simbolo di democrazia. Quel posto vuoto è un simulacro, una provocazione, una rivolta, una disillusione, l’approdo di chi non crede più a nulla, il gesto muto di chi non si sente più rappresentato, l’alzata di spalle di chi tira a campare e sacramenta “tanto sono tutti uguali”, menefreghismo, qualunquismo senza sponde o un segno metafisico di anarchia. Fatto sta che tutti insieme puntano alla maggioranza. E lo fanno proprio adesso che i partiti si spacchettano, ognuno con la sua riva da raggiungere. Quelli che appunto sognano il 40 per cento, ma che adesso, dopo batoste o cadute sentimentali, lo vedono scomparire all’orizzonte. Quelli che riscoprono un destino da ago della bilancia o si accontentano di battere il vicino di casa: io ho preso il 15 e tu il 13 e allora comando io. Quelli che ballano sulla linea di sopravvivenza e benedicono il 3 per cento. Quelli che danzano sulle punte di un centro sempre più piccolo o di una sinistra ancora più a sinistra sparpagliata come coriandoli. Nessuno di loro in questa democrazia in cerca d’autore ha la forza e il numero del partito del non voto, di chi non vota, diserta o si astiene. Eccolo allora quel partito del non voto che nell’attribuzione dei seggi non conta nulla, ma di fatto rappresenta più di qualsiasi altro le viscere degli italiani. I partiti, quelli in carne e ossa, ne parlano ma non li vedono. E qui c’è da interrogarsi su questo fenomeno. Non li vedono perché sono invisibili? Forse no. Forse non li vedono perché semplicemente la politica da troppo tempo è cieca. Per loro vale una storia che qualcuno ha già raccontato. È letteratura. È finzione. È profezia. È verosimile e quindi più vera del vero. L’autore non c’è più. È portoghese e premio Nobel. Si chiama José Saramago e il romanzo è “Saggio sulla lucidità”. “È il giorno delle elezioni. Siamo in una città imprecisata di un paese imprecisato… Piove. Piove come poche volte. Gli scrutatori sono stravaccati in attesa che arrivi qualcuno. I politici preoccupati. Il tempo migliora e la paura del boicottaggio sembra passare… Ci sono file di elettori in ogni seggio. Il peggio è scongiurato, ma la sorpresa arriva quando si aprono le schede. Bianca, bianca, bianca, bianca. Il 70 per cento è un voto in bianco… Sconcerto, sarcasmo, scherno. La stampa parla di ‘uso dissoluto del voto’ e presto l’elezione diventa la ‘congiura delle schede bianche’. Il potere reagisce male… Il governo dichiara lo stato di emergenza, poi lo stato d’assedio, poi ritira la polizia e tutti gli apparati governativi e infine chiude del tutto la città, come se fosse in quarantena… Che fa un popolo senza governo? Nulla. Non succede nulla. Non un omicidio, non un pestaggio, addirittura nessun furto. La politica per la prima volta è costretta a vedere gli astenuti…”. Questa storia è finzione. Ma il popolo degli invisibili in questo Paese si sta prendendo il quorum. La “cecità” è un’epidemia. La cura non arriva dall’alto e neppure dal basso. La causa è una politica che si ostina a guardarsi l’ombelico. Nessuno ha una pozione magica e di certo le piazze sono piene di imbonitori e venditori di intrugli ed elisir miracolosi. I romanzi ogni tanto vedono oltre. Non dite che nessuno vi aveva avvertiti.

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