“Toscana dei vip… antiche abitazioni in pietra a poche migliaia di euro nel centro storico… Falanghinashire… giovani del posto occuperanno edifici diventati di proprietà comunale per impiantarvi dei ristoranti tipici e in un altro immobile faremo nascere un incubatore per start up…”: dice convinto il sindaco Panza, intervistato (per modo di dire) dal Corriere del Mezzogiorno. Ma cosa ha fatto di male questo vecchio e nobile paese? Che si chiama Guardia. Una vecchia comunità che non riesce ad affiorare dalle macerie. Ferita e malata, sepolta sotto i detriti della sua stessa casa. Da tempo questo paese è sotto le macerie. I pochi interventi sono enormemente enfatizzati dalla macchina delle istituzioni, ma i tentativi per tirarla fuori viva dalle macerie sono inefficaci, se non sbagliati. Macerie materiali e macerie morali che la distruggono da dentro, nell’intimità, spingendosi fino all’interiorità. E chi ci vive spera di andarsene, sogna la fuga, neppure più per sé, ma per i figli. Certe comunità non crollano, ma semplicemente si svuotano e non sai neppure dire quando è cominciata la fuga. E per un borgo di 4910 abitanti (di cui circa 130 stranieri e non 250, come ben ci ricorda Carlo Falato) è il miserere di una lunga agonia. È un perdersi d’animo che deriva da una perdita dell’anima profonda della comunità, è un seppellirsi sotto le macerie del suo passato prossimo e uno scemare dei tentativi veri, non fittizi, non urlati sui giornali e i media, di portarla in salvo. Io la intravedo questa Guardia nel pozzo profondo delle sue rovine, sento i suoi lamenti e le sue imprecazioni ma avverto come tanti la sensazione d’impotenza, anche perché ho l’impressione che una parte di me, di voi, stia con lei sotto le macerie e non si possa muovere. Paralizzata, schiacciata sotto il peso della sua indolenza, incapace di vedere uno spiraglio di luce. C’è una lentezza, una goffaggine, un’inefficacia, un rimbalzo di colpe e di speculazioni da far rabbia e paura. Passato e futuro cadono tra ombre, recriminazioni e infamie. Fino al punto di confondere passato, presente e futuro e perdersi, naufragando. Perchè qui anche il passato non troppo lontano ha un sapore di eternità. Vivere in questo territorio è molto molto difficile. È un mondo dove le idee si perdono. Le priorità scivolano sulle cose, sugli affari e malaffari che accadano e che ci avvolgono. Fino a diventare metafora per raffigurare la più ampia collezione di macerie materiali e immateriali che gravano sulle nostre spalle. Le rovine del presente sovrastano per peso e quantità perfino le rovine cospicue del passato stratificate nei decenni. Il tracciato della Tav, un coacervo di interessi elettoralistici e conflitti d’interessi grandi come una casa, senza tener minimamente conto dell’impatto devastante al nostro territorio, è solo l’ultimo esempio. Guardia resta sotto il cumulo di macerie, e nessuno riesce a tirarla fuori, nessuno che vuole frugare tra le rovine.
Ecco, Guardia. Eccola, la foto. La foto che non viene veicolata all’esterno. Ecco il video che il cittadino scozzese che ha adottato un filare di Falanghina a Guardia “controllato a distanza con una telecamera” non vedrà mai. Non serve più a niente chiudere gli occhi. Eccola, quindi, la foto. Autentica, senza alcun fotoritocco. Che però, anche se non si vede, si sente. È monnezza: materiale, morale. È soltanto esibizione, forse, è pure roba antica. Se però chiudi gli occhi scompare, sparisce, passa, tanto questa comunità mica si scandalizza per due stronzate dettate a un giornalista untuoso. Ne ha viste tante in questi ultimi sette anni e niente rimane. La monnezza no, ti si appiccica addosso. E non è solo una questione di rifiuti, di scarti o di pantegane grasse e lente che passano indisturbate lungo le stradine deserte del centro storico, quella puzza è un’ombra, un profilo, come un confine, una sorta di parassita morale che si arrampica fino al cervello e ti segue. Questa puzza di monnezza tatuata sulla pelle, e che quasi non sentiamo più, è il segno di una comunità incancrenita. È il nostro odore e non passa. Questa puzza siamo noi. Siamo noi che permettiamo che tutto ciò avvenga. “C’è ancora tanta polpa intorno all’osso”: è questa la metafora guida del sindaco Panza. Guardia è soltanto un osso da spolpare. Il simbolo di un’utopia andata a male dove ciò che serve non è mai disponibile al momento giusto e in quantità sufficiente. Con i cittadini guardiesi tutti in fila, gli uni accanto agli altri, spesso all’oscuro della merce che gli viene venduta. Oggi Guardia è solo la registrazione in presa diretta di voci, dialoghi, frammenti di conversazione, speranze, sogni, paure, di gente in attesa. Con un solo narratore che si racconta e che ha trovato la propria coscienza nell’io. Un paese dove ascoltano tutti la stessa radio che lancia gli stessi slogan: la Guardia multiculturale è la nuova dottrina, Floriano è il grande padre. È questa la nuova metafisica del popolo guardiese. Ci si affida al potere che sceglie per te. Che fa promesse che non può mantenere, ma che ti fanno sentire tranquillo. In fondo fidarsi è più facile che mettersi in gioco ogni giorno. Ed è così che muore una comunità, tra applausi scroscianti.
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