Renzi chi?

Un requiem per la sua scomparsa. Rito liturgico, da anni e anni, eseguito e celebrato in memoria del defunto: la politica. La figuraccia rimediata in questi giorni, la dice lunga sulla fase di transizione che sta vivendo la politica. È da poco passato mezzogiorno a Montecitorio. In Aula il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico si accusano a vicenda di aver affossato la legge elettorale. Volano stracci. Compaiono tabelloni luminosi con il voto segreto. Di tutto di più. Eppure era evidente a tutti che sui 300 parlamentari eletti nel 2013 con il premio di maggioranza ce ne siano almeno la metà che sanno di non essere ricandidati. E quindi votano contro. Il capo dello Stato tace. Il Circo Barnum il 21 maggio ha definitivamente calato il sipario dopo 146 anni di onorata attività, sparisce il circo mentre quello della politica italiana continua a regalarci spettacoli, ormai dal sapore agrodolce e tristi, come tutti i circhi che non sorprendono più, che non hanno saputo rinnovarsi. Regalandoci uno spettacolo talmente avvilente da fare imbestialire anche la più genuinamente motivata delle persone.

La suonata sembra essere sempre la stessa. Tra collegi uninominali, proporzionale con o senza sbarramento, loro resistono, non si scompongono. Le solite liste bloccate senza preferenze con i partiti che sceglieranno i soliti leccapiedi, incapaci, amanti, ballerine, figli di papà e raccomandati vari da inserire nelle liste per farli diventare dei “fedelissimi” parlamentari. “Inciucellum”. Così potrebbe essere denominata la legge elettorale con la quale gli italiani, se le cose non cambieranno, verranno chiamati a votare alle prossime elezioni politiche. E comunque vada il risultato – almeno all’esterno – è sempre lo stesso: caos, dilettantismo, sprovvedutezza, incapacità, inaffidabilità.

La politica è morta, è decisamente precipitata nella totale volgarità, ed è velenosa e dannosa. Intossicata della peggiore deriva democratica. E manca la professionalità, la qualità culturale. Una testa un voto è un’aberrazione. Perché ci sono teste totalmente vuote. Tra voto e vuoto il passo è breve. Poi l’opinione pubblica italiana è rimbambita perché non capisce questi fatti elementari, la verità delle cose. Non c’è un’informazione autorevole che la racconti. Ma le classi dirigenti non si inventano dalla sera alla mattina. Lo sa bene Renzi, che tre anni fa proprio in questi giorni calò su Roma nell’illusione di essere pronto a governare e partorì un’accozzaglia di vecchie muffe della tanto vituperata casta che prometteva di rottamare, con l’aggiunta di quattro amici al bar del tutto inadeguati alla sfida (le Boschi, i Lotti…). E lo sanno anche nel centrodestra dove si aggira nel pollaio una miriade di galletti senza truppe e soprattutto senza idee. Ci si può consolare con la crisi delle élite in quasi tutto il mondo. Oppure ci si può porre finalmente il problema di come far nascere una nuova classe dirigente in grado di sostituire i vecchi, che hanno fatto danni incalcolabili ma resistono per mancanza di alternative.

E in questo triste panorama siamo ancora a parlare di Matteo Renzi che vuole andare a elezioni anticipate. Vuole uno stipendio da parlamentare, l’immunità. Quando sappiamo tutti che l’Italia gli interessa in quanto paesaggio, come sfondo per vendere il suo prodotto, come ai pubblicitari delle automobili ibride. Che pensa di andare a elezioni anticipate e poi, dopo un accordo con Silvio Berlusconi, farsi nominare premier. Anche se è un idea che non sta né in cielo né in terra, perché Berlusconi potrebbe preferirgli tranquillamente qualcun altro. Anzi, di sicuro sarà così. E poi, non ha fatto i conti con quei cittadini che per il 60 per cento gli hanno detto no al referendum costituzionale, ha perseverato nello stesso errore e non ha fatto i conti neppure con i parlamentari, a cominciare dai suoi.

Povero Matteo Renzi il suo declino continua inesorabile. Ormai lo scaricano da tutte le parti: pure all’estero. Non è più cinto dall’aura di commedia che si porta sempre dietro. Assediato da groupie in delirio, in una selva di selfie. Da un credersi statista a un quaraquaqua qualunque.

Quasi quasi mi spiace.

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