Le magnifiche “leopoldine” del renzismo

Da un po’ di tempo a questa parte sembra proprio che la politica abbia sensibilmente monopolizzato l’attenzione delle persone, grazie anche alla diffusione dei talk-show. Siamo al cospetto di una bulimia di discussioni ripetitive, spesso gridate, sempre stucchevoli. Certo la formula funziona, anche se andando avanti così mi sa tanto che la politica, già spettacolarizzata a dismisura, rischi di diventare ridicola e poco affidabile. Tuttavia, c’è ancora una fascia abbastanza grande di popolazione che si affida alla televisione per formarsi un’opinione e ovviamente i talk si rivolgono ad essa. Una fascia a mio avviso sempre più esigua ma tuttavia presente, una sorta di zoccolo duro sul quale puntare e ricamarci pure un po’ sopra. Che cosa sarebbe stato, ad esempio, Matteo Renzi senza la televisione e i talk-show? Meglio: quanto hanno pesato le “quote rosa” nel successo mediatico dell’ex premier? Tanto, tantissimo, anzi di più… Ma che fine ha fatto oggi la pattuglia di giovani democratiche (giovani, carine, impreparate), storiche “fedelissime” vicinissime all’ex premier Matteo Renzi? Sparite. I volti nuovi del renzismo, quelle che per intendersi impazzavano ai tempi delle elezioni Europee, sono già, chi più o chi meno, sparite nel nulla. Di loro si sono perse le tracce. E allora, passiamoli in rassegna, i volti nuovi scelti a suo tempo da Matteo Renzi e già caduti nel dimenticatoio (o peggio). Come Maria Elena Boschi, Alessia Morani, Marianna Madia, Debora Serracchiani, Simona Bonafé, Giuseppina Picierno detta Pina, Alessandra Moretti, Alessia Rotta, ecc… Prendete Maria Elena Boschi. Ogni volta che tirava burrasca, Renzi la mandava davanti ai microfoni. Tutt’altro film Debora Serracchiani. Di certo la più preparata e la meno aderente allo stereotipo della velina. A lei il compito nei telegiornali (performance televisive non sempre entusiasmanti) di presidiare la politica politicante. Muta, invece, nella sua immagine angelicata d’impronta rinascimentale, Marianna Madia. Un manifesto del giovanilismo renziano incorniciato ed esaltato in contrapposizione al vecchiume dei politicanti aggrappati da anni alla poltrona, dando l’idea di una che sgobba (a volte, esercitandosi col copia-incolla) lontana dai riflettori. Più esposta, invece, Simona Bonafè, che nella speciale classifica renziana recita il ruolo del picchiatore. Simona è l’animale renziano da talk-show. Quando si tratta di salire sul ring della diretta, reggere l’attacco delle opposizioni e scatenare la controffensiva, tocca a lei. Pina Picierno, è la guagliona che sorride sempre, senza un confine tra il sarcasmo e la gioia per essere in video. Non sembra un’aquila (e probabilmente non lo è), ma funziona. Perché nega l’evidenza, difende l’indifendibile e manda regolarmente in bestia gli avversari interrompendoli mentre parlano o attaccandoli sui social. Gaffes e strafalcioni sono la sua griffe. Ci sarebbe poi anche Alessandra Moretti, la bella veneta con gli occhi da gatta, una che non ti dà mai ragione, nemmeno se le punti la pistola alla tempia. Piace e si piace, tantissimo, Alessandra, anche quando parla di topi e bambini morti. Tra le poche “renzine” che, al contrario, vivono un momento positivo si annovera Anna Ascani, 28enne umbra e più giovane deputata della Repubblica: da settembre scorso, da quando fu avvistata sull’elicottero del premier a Cernobbio, di lei si parla molto. E che dire del curriculum vitae impeccabile delle due Alessie (Morani e Rotta). Statene certi, alla fine del mandato si ritroveranno ancora in pole position.

Maria Elena, Debora, Marianna, Simona, Pina, Alessandra, Alessia: le magnifiche “leopoldine” sono la plastica rappresentazione dell’estetica renziana. Un mix volitivo di attivismo, presenzialismo e paraculismo che tutto permea e tutto avvolge. Giocando sulle pari opportunità, Renzi ha creato un cuscinetto rosa che in questi tre anni lo ha protetto 24 ore su 24, 7 giorni su 7. E gli ha permesso di stare lontano da ogni forma di negatività apparendo solo quando c’era da farsi belli. Se bisognava giustificare, fare a pugni, sporcarsi le mani, Matteo si inabissava: non compariva, non parlava, non twittava. Tra le fiamme della polemica spuntava magicamente Andrea Romano, Gennaro Migliore, Emanuele Fiano o una delle “leopoldine”. E spegneva l’incendio. Per il capo, così, il giorno dopo era di nuovo #lavoltabuona, era sempre tempo di vendere i sogni e mai quello di pagar dazio. Capito quanto sono importanti le “leopoldine” per Renzi?

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