Qualche giorno fa mi hanno deportato in un centro commerciale, a due passi da Roma, a ridosso dell’aeroporto di Fiumicino. Sono venuti a prelevarmi a casa una coppia di amici. Mi hanno sequestrato affettuosamente, adottando subdoli motivi e invitanti occasioni, e mi hanno tenuto per ore e ore in questo gigantesco consumificio dove ogni giorno pascolano migliaia di individui beati con carrello. Eccitati, quasi commossi, i sequestratori mi hanno mostrato la multisala con ventiquattro sale cinematografiche, il super-supermercato dove sciami di insetti umani ronzavano sereni. Decine e decine di ristoranti, assediati da un’umanità affamata e benestante. Innumerevoli negozi. Tutto è bello, futuribile. Anche gli aerei che scendendo ti accarezzano i capelli, sembrano anch’essi ciclopici carrelli per la spesa. Benvenuti nel desiderio esaudito. C’è tutto, nel centro leonardesco. Ma proprio tutto. Non hai bisogno di muoverti, la multisala, la palestra, fitness, McDonald, il ristorante etnico, hai tutto qui. Mi ha preso alla gola un senso d’angoscia. Allora ho cominciato a bramare i posti dove mancano le cose, dove sei costretto a muoverti perché manca quasi tutto; dove esci di casa e vai a fare due chiacchiere al bar. Ho cominciato a idealizzare l’imperfezione della piccola comunità dove vivo, un antico borgo confortevole (nonostante l’inadeguatezza di chi lo amministra), dove ogni pezzo importante lo devi andare a prendere altrove o devi ordinarlo su Amazon. La perfezione mi spaventa, la totalità esaudita mi atterrisce. Preferisco l’irregolarità, l’imprevisto, in qualche caso amo perfino l’abusivo e l’eccessivo. Ma non cado nella trappola dei nemici della modernità o negli imbecilli che fanno le crociate contro la Coca-cola e i Fast food. A me il mercato non è mai dispiaciuto; ma qui vedo realizzato un modello che ho sempre avversato, non il mercato dentro le città, ma la città dentro il mercato. Non dunque un mondo vario, fatto di chiese, vicoli, piazze, di storia e di vita comunitaria. Ma un Gran Mercato dove c’è tutto. Consumare, consumare. In questi enormi spazi gremiti di vuoto e sovraffollati di gente in vacanza da sé, sento mancare l’alito caldo dell’umanità, della Tradizione, qualcosa che si tramanda ma che è vita. Dov’è l’umanità nel centro commerciale? Alla cassa? All’entrata, depositata negli appositi armadietti? In direzione o all’ufficio reclami?