A Guardia non c’è più dialettica. Quel che resta del dibattito politico, aggiungo, oscilla tra allineamento al re sòla e una timida insubordinazione: non c’è conflitto sui temi fondamentali per la comunità tra visioni opposte, non c’è ammutinamento all’interno della stessa massa critica oppure insubordinazione al presunto Capo o capetto che dir si voglia. Non si fronteggiano due visioni di comunità ma solo una fedeltà a priori: al capo vincente. Ma l’assenza più deprimente di dialettica riguarda il dibattito civile e la cultura. Non trovate più una discussione su temi di fondo che pure stanno a cuore alla maggioranza dei cittadini o letture critiche del presente, non affiora una divergenza sul piano delle idee tra chi, ad esempio, difende la tradizione secolare dei Riti Settennali ormai alle porte e chi propone, all’opposto, la loro spettacolarizzazione, tra chi difende la natura intima e penitenziale della manifestazione e chi la subordina agli interessi comunitari, tra chi difende la priorità delle famiglie guardiesi e chi s’inchina ai nuovi cittadini anglofoni; non c’è più una polemica culturale tra semplici cittadini e pseudo-intellettuali, nessun dialogo sui valori. Chi prova ad emergere si ignora, chi prova a discutere grida nel deserto. Non si discute, non si critica, non si tenta di capire. L’intelligenza si atrofizza o finisce ai margini, nel pensiero laterale, confinata agli estremi della semi-clandestinità. In questa comunità si vive tra Capo e coda, senza capire quel che sta nel mezzo. Come chiamare tutto questo? Disfatta dell’intelletto.