“Ti svegli una mattina del terzo millennio e vieni a sapere che nel pieno di quest’Italia benestante e fratellosa due vecchi stavano morendo di fame, di freddo e di miseria a due passi da Salerno. Li trovano in fin di vita, divorati dai topi, in un casolare di Pagani, ridotto un letamaio, nel disperato tentativo di mettere insieme due solitudini. E invece si può morire anche in due, lontani dal mondo che pure si agita affaccendato e incurante a due passi dalla casa. Si può morire come non muoiono più nemmeno i cani e i gatti, grazie alla sensibilità diffusa verso gli animali.
Sono incerto se dire: ma in che razza di paese viviamo? Oppure: ma in che razza d’epoca viviamo? Dico tutte e due le cose insieme. Eppure sia questo paese che quest’epoca sono gonfi di retorica umanitaria, di I care rivolti al Terzo Mondo. Si elogia la carità verso povertà remote, in Africa o in Asia, salvo dimenticare il povero che crepa sotto casa, alla porta accanto.
Questa è la carità del villaggio globale: ti impietosisci perché in tv hai visto quel bambino negro che sta morendo. Vorresti aiutarlo e non sai come, non sai se arriva a lui la tua carità. Troppi passaggi, troppe mani scarne che si protendono davanti e si rubano il pane dalla bocca. Ma poi c’è tuo fratello che sta male, c’è il vicino che non vedi da due mesi e di cui senti magari cattivi odori provenire dalla casa accanto.
C’è chi soffre a due passi e tu non lo vedi, perché il tuo oblò sul mondo è la tv. La realtà in carne e ossa può andare pure in malora, c’è il tubo catodico che con l’audience raccoglie pure le lacrime e la compassione, a ragionevole distanza.”
Marcello Veneziani, Contro i barbari