Guardia ha sempre dedicato poco tempo e energie a raccontare, e raccontarsi, storie. Eppure, nel corso della sua evoluzione il popolo guardiese ha sviluppato un desiderio fortissimo, irreprimibile, per le storie. Storie che ci fanno vivere ogni giorno. Storie che noi racconteremo.
Racconteremo la storia del musicante, ad esempio: quello che suonava per gli sposi, per chi amava la vita gaudente e spensierata, per i morti e per i santi. E magari la sera portava pure le serenate. Tutto ben pagato. Gli apparecchiavano pure una tavolata – pasta col sugo e arrosto di maiale e vino a volontà – a patto che la tirasse a lungo fino a tarda sera, quando le dita si incrocchiavano al manico della chitarra e non trovavano più né le note né il fiato. Forza con la tarantella, urlavano con allegria i paesani stipati nella sala. Racconteremo la storia del contadino che, avendo zappato per tutta la vita, si era alleato con l’artrite fino a restarne piegato: la sua schiena aveva preso la forma dello zappone. Racconteremo le storie dei nonni, e non dovremo far altro che pensare ai nostri nonni. Guardarci allo specchio, per scoprire di colpo che somigliamo proprio ai nostri nonni. Sì, proprio a loro, a quei povericristi bassi e tarchiatelli che il padreterno, in un giorno di negligenza, aveva sdirupato in questo paesello a mezza costa. Che non aveva proprio nulla. Solo l’orgoglio di avere dato i natali, si dice così, a uomini illustri e letterati: che erano certamente persone illustri e in quanto tali potevano essere comodamente liquidati, come i signori di allora, con una levata di coppola. Racconteremo la storia dell’edicolante e venditore di tabacco e dei clienti della sua rivendita, dove di fatto avevano eletto domicilio e se ne uscivano (ieri come oggi) sempre più ricchi di storie. Racconteremo la storia del vecchio parroco in pensione che metteva insieme pezzi di storie, tutte di carità.
Racconteremo la storia del barbiere che passava più tempo ad affilare i rasoi – cinghia di cuoio e mola bagnata – che non a tagliare le barbe, perché da quando i contadini del paesello avevano scoperto, in quel tempo, la lama Gillette; e i ragazzotti non amavano più né i capelli corti né la sfumatura bassa, era, come si direbbe oggi, in stagnazione. In crisi. Racconteremo anche quel che raccontava sempre mio nonno durante le varie vendemmie, cioè, di quando, il barbiere, chiamato quella volta per far la barba al morto, se lo trovò davanti pendente come un arco, tanto da farselo tenere fermo dai parenti per completare al meglio la sua opera. “A ogni colpo di rasoio, il morto calava o saliva, a seconda di pelo e contropelo. Appoggiato sulla sedia impagliata, il morto non voleva saperne d’irrigidirsi sulla schiena. Faceva impressione, così piegato in avanti, come per alzarsi da un momento all’altro dalla seggiola. Accogliendo i dolenti e i condolenti al consolo… L’unica era distenderlo sul fianco, come si dovette fare poi sul catafalco, e poi ancora per chiuderlo nella cassa…”. Racconteremo di quando, a sera, quando non c’erano più barbe da radere e capelli da tagliare, prima di chiudersi in osteria, dal barbiere vi si radunavano gruppetti di maschi per parlare di tutto e di niente, per catturare le ultime meraviglie, le ultime cattiverie, le ultime maldicenze, gli amori e tradimenti, gli ultimi ammiccamenti, in un crescendo straripante di risate, sberleffi e perfidie. Di quando, soprattutto sotto Natale, il barbiere regalava loro i calendarietti osé – quelli tascabili, quelli dal profumo povero ma ruffiano, quelli con le donne nude – nel tentativo, ah quanto disperato, di accalappiare una mancia, una confidenza, una ardita complicità. Dopo il salone, era l’osteria, il teatro delle finzioni, delle cose non viste e delle cose sperate. Un’officina dei miracoli che dava sensualità a ogni loro discorso e ornamento barocco a ogni loro ragionamento.
Racconteremo del medico condotto, del farmacista, della comare… Ma la levità del linguaggio accarezzerà ogni pelo di quella barba ispida e ribelle del morto rasato dal barbiere con una mano leggera di pietà. Nel teatro del “Borgo delle Storie”, si affolleranno santi e diavoli, dove il Dio sarà misericordioso, dove San Filippo Neri, venuto da Firenze e padrone di Guardia, ci accompagnerà con un pizzico di buon umore; nel teatro fatato dei ricordi e dei rimpianti del “Borgo delle Storie”, persino la fede si farà racconto. Un racconto candido come le perline di un rosario, umile e saporoso come il pane con l’olio. E poi racconteremo le storie delle nostre nonne che mettevano faccia al muro il santino incorniciato di Sant’Antonio, che è il santo di famiglia. Spegnendogli però il lumino. Almeno fino a quando il santo, muovendosi da Padova per venire a Guardia, non avesse risolto il tutto da lei desiderato. Racconteremo le storie delle case, le stanze, le immaginette, i parenti, le superstizioni, le preghiere, i presagi: saranno le strofe di un unico canto.
Certo, oggi non se ne trovano molte. Ma noi le troveremo e le racconteremo. E per un minutino, se potete, dimenticate la Guardia che avete sempre letto nelle brochure municipali e non: dimenticate la Guardia raccontata sui video promozionali statunitensi. Nel “Borgo delle Storie” racconteremo la Guardia de “La bella mugnaia” o “Maddalena”: quella dei delitti d’onore, dei nobili e dei briganti cerretesi, dei morti ammazzati e dei delinquenti che entravano in paese, il fucile a tracolla e gli stivali neri. La Guardia delle storie fragili, sminuzzate dal tempo e dalla lontananza. La Guardia delle storie perse. Una Guardia bella, ironica e appassionata, che faremo scorrere davanti agli occhi di chi verrà a trovarci, come su un palcoscenico, nell’estate del 2017: l’anno dei nostri Riti. Storie che saranno tutto un dolore, tutta una pazzia, tutto un amore: perché ci artiglieranno con la nostalgia di questa terra, di quella gente, di quegli splendori; storie che ci scaraventeranno al suolo carichi di nuovi incanti e nuove passioni. Saranno questi gli ingredienti delle storie che racconteremo e illustreremo, accompagnati dalla musica, nel “Borgo delle Storie”, nell’estate del 2017. Un percorso arricchito di testimonianze. Piccole storie personali che costruiranno un percorso semplice ma prezioso per restituire lo spessore umano ad anni ricchi di forti contrasti, per rileggere un periodo che si sta allontanando e di cui tante sfaccettature rischiano di perdere la consistenza, la passione umana. Il territorio di riferimento sarà quello di Guardia. Il periodo per lo più sarà quello – per dolore e contrasti – dei nostri nonni e comprenderà persone e avvenimenti fino ai giorni nostri. Anche la documentazione fotografica sarà ben accetta e avvicinerà chi ascolterà alla familiarità dell’approccio, coinvolgendo vari protagonisti. Tante microstorie accanto alle quali verranno dedicate intere serate di approfondimenti. Tante le storie che verranno raccontate, le rappresentazioni che andremo a presentare nel “Borgo delle Storie”. Altro che Sannio Tattoo. Nel “Borgo delle Storie” ci sarà la sgarbata delizia di un linguaggio che ci accecherà e non ci darà scampo. I racconti si faranno gesto, si faranno teatro, si faranno musica, si faranno danza, si faranno odore, si faranno brivido, si faranno sudore, si faranno melanconia; e si faranno soprattutto desiderio di avere sempre e comunque un altro desiderio, in un infinito gioco di immaginazione e di fantasia, perché da noi, nella Guardia dei vecchi musicanti e dei barbieri di una volta, non conta tanto la storia ma la rappresentazione che sapremo dare della storia.
Questo non è più soltanto il sogno. È realtà. È quasi pronto. Ogni storia, ogni racconto, ogni testo presentato verrà poi pubblicato da una Casa Editrice. Per essere poi narrato in quell’atmosfera speciale di una Guardia ritrovata, mai persa, nella tranquillità delle cose belle, da chi l’ha scritta e pensata. Nei prossimi giorni sarà operativo un sito internet e una pagina Facebook dedicata: in quei posti virtuali getteremo le fondamenta reali della prima edizione del “Borgo delle Storie”.