Arriva un momento della vita di una persona - stanca di fare i conti con un paese corrotto, una politica che si concentra su falsi problemi -, in cui credi che tutto sia finito e non ci resta altro da sperare in una felpata eutanasia. Quello è il momento di decidere se prepararci al declino o se provare a rovesciare la clessidra, a nascere di nuovo. E quel che appariva il cumulo del passato diventa d’un tratto il mucchio del futuro, da rimpianto muta in risorsa, da ricordo in aspettativa. Leggevo su Facebook un articolo interessante e discutibile sul malessere del nostro centro storico. Ci sarebbe stato molto da replicare, da obiettare, ma quasi nessuno lo fa, nella stessa pagina o altrove. Così accade anche in altri sporadici articoli che meriterebbero qualche riflessione. Tutto quel che (raramente) in questo nostro paese suscita un pensiero rimane sepolto nel deserto, consegnato alla solitudine labile di una pagina Facebook. Intendiamoci, vale anche nell’opinione pubblica guardiese e non solo sui social.
Ma che paese siamo diventati, che cosa resta della nostra storia, delle nostre tradizioni più remote, della cultura in ogni latitudine e profondità – dal pensiero critico giù fino alle ideologie – se, al di là di qualche vecchia foto postata su Facebook, non c’è verso di intrecciare un dialogo tra di noi, con la comunità, raccontarci storie, anche tra chi la pensa diversamente? Ci lamentiamo, e giustamente, dell’imbecillità virale dei social, di ignoranti tuttologi che in virtù di un’opportunità tecnica si sentono in diritto di trinciare giudizi universali su tutto e tutti, insulti inclusi; che si chiudono nel loro recinto, che hanno soltanto un pensiero “privato”, cioè non si cimentano più in mare aperto con i diversi pensieri. Oggi, grazie a Facebook, anche Guardia purtroppo è una società uniforme con pensiero puntiforme. La politica, l’intellettuale, la gente non dialoga, non si confronta con i problemi della propria comunità; al più posta su Facebook citazioni di autori morti o sodali, ossia chi non gli obbietterà nulla, perché defunto. Dentro il display non c’è solo un’altra cultura, un altro tipo di civiltà, c’è solo la barbarie.
Altro che la retorica sui muri da abbattere, ponti da costruire… Checché se ne dica in questo paese viviamo barricati nei muri della nostra superbia, non vogliamo ascoltare diversi pareri. Restano le divisioni. Non si argomenta, ci si schiera, ciascuno biascicando il proprio mini-rosario pro o contro. Non c’è dialogo su nulla. Ci sono due mondi antagonisti che si fronteggiano. O sei dentro o sei fuori, non si discute. La comunicazione degrada, per emorragia di pubblico e disabitudine al confronto, oltre che per il proverbiale asservimento al potere del padrino locale; oscilla tra la vacuità e la denigrazione, ma nessuno coglie il nesso tra la qualità della vita e quindi dell’azione amministrativa e la mancata competizione, alla luce del sole, di idee, progetti e opinioni differenti. Tutto va secondo programma. Possibile che nessuno voglia salire di un piano rispetto agli altri e avere una visione più ampia, oltre che plurale? Ogni pensiero muore dove è nato. Non possiamo proprio far nulla per questo paese, oltre a biascicare qualche litania su Facebook?
Scriveva Gabriel García Márquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Questo è il momento di decidere e rovesciare la clessidra. Questo è il momento di raccontare la nostra storia, le nostre storie. Perché, forse qualcuno di noi se ne è dimenticato, le nostre storie raccontano, trasmettono, colpiscono, affascinano, fanno riflettere, insegnano, emozionano, uniscono, ricordano… E non sono solo quelle dei nostri Riti. Oggi la clessidra sta per esaurire i suoi ultimi granelli e il futuro si svuoterà del tutto per essere poi riempito di passato. E quel cumulo di passato diventerà d’un tratto il mucchio del futuro per i nostri figli, da rimpianto muterà in risorsa, da ricordo in aspettativa. Lavoriamoci, insieme. Una, dieci, cento le storie e le voci che faremo ascoltare e seguire nel borgo antico di Guardia, prima che muoia per davvero (una frase che fa venire i brividi soltanto ripensando a ciò che potrebbe essere), nell’estate del 2107. Storie, suoni, voci all’insegna del confronto, della creatività, dell’informazione, della formazione, raccontate con gli occhi, con lo sguardo, con le parole, tutte racchiuse in una nuova rassegna culturale che vuole muovere e smuovere. Una rassegna, un festival dove sono convinto ci capiterà di imbatterci negli sguardi degli autori, dei musicisti, degli attori, che inviteremo; di provare le stesse emozioni che proveranno loro raccontando, cantando, recitando; di percepire la passione che metteranno in ogni loro singolo racconto, in ogni singola frase, in ogni singola parola. Io ci sto lavorando. A breve per i dettagli.