L’Urlo

Vi siete arresi. Con le mani alzate bene in vista, vi siete consegnati. Senza sberleffi se andrà bene, sennò qualche sputo – perché ci sono sempre sputi nell’aria, dentro l’aria guasta di questa comunità – magari spintoni. Affrettatevi finché si può, finché la via di scampo è tenuta benignamente aperta. Di corsa, in mutande, a mani vuote – come quelli che, come raccontava la Fallaci, salivano sull’ultimo elicottero americano a Saigon, mentre i vietcong entravano in città -, un salire affannato sul carro del vincitore, un prendersi a reciproche pedate, un bestemmiare e un ammucchiarsi: e i sacrificati guardiesi rimasti, abbandonati alla sorte e alle vendette sul tetto della Casa comunale ormai indifendibile. Fate pubblica ammissione di colpa e chiedete ai cittadini di perdonarvi. Vi verranno chieste, c’è da scommettere (anzi: sono già state richieste) parecchie penitenze per concedervi di poter posare il culo stanco su quell’elicottero che si alza, ultimo in volo. Chissà, magari volerà pure qualche monetina: ci sono sempre spiccioli in tasca (sono rimasti solo spiccioli, si dirà). La rabbia dei giusti. O piuttosto di quelli che si ritengono giusti. Nessun urlo: Guardia lamentosa e vociante è piena di gente discriminata, di scombinati perseguitati (e oggi anche di artisti incompresi), di geni oscurati, di rancorosi pronti però a mutarsi in santissimi Giusti Vendicativi. Nessun urlo. È un posto pieno di vittime vere questo (purtroppo) e di eccentrici fasulli (purtroppo). È un terreno fangoso, dove la politica (a voler stentatamente provare a volare alto nella rimembranza: quella buona, di scontro vero e veri masanielli, non quella di oggi dei poveracci affidati alle strette cure, tra la misericordia e il bordello, del mammasantissima) una volta separava e dove oggi, invece, procede felice all’ammasso. Nessun urlo si riversa sulla massa; nessun urlo risuona tra le piazze e le strade di Guardia; nessun urlo stordisce, si amplifica. Nessun urlo capace di generarne altri e altri ancora e altri all’infinito. Nessun urlo e nessun urlatore volontario, neanche quando l’urlo risuona forte intorno a noi. Inquieta, il “sonno collettivo”, perché somiglia a noi tutti e noi tutti conosciamo qualcuno che somiglia a esso. Convinto di essere il meglio, che può pretendere dagli altri, esigere. È un fenomeno che non chiede mezze misure, dove l’altro facilmente, troppo facilmente, per interesse o solo per interesse si muta in nemico della buona causa.

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