Ragionata dichiarazione di insofferenza per Floriano (ovvero il “peperone ripieno” che ho sullo stomaco). Caro Floriano, in primo luogo concedimi il tono confidenziale e poco istituzionale. È qualche anno che non parlo con te, e probabilmente – a leggere certe tue interviste, alcune tue (ammirevoli!!!) prese di posizioni, per esempio, contro l’autovelox sulla Telesina, “un crimine”, fantasiose iniziative tipo Unesco, ecc. – sei peggiorato: meno riflessivo, più permaloso, un po’ più “bullo” di come ti ricordavo. “Bullo” colto, s’intende: uno che nei convegni, cita Keynes padre della macroeconomia, ma in inglese. Ho come l’impressione che ti sia un po’ appesantito dal peso tanto della tua intelligenza, ma più ancora di quello che tu stesso (sono sicuro) in cuor tuo definisci, vien da pensare con voluto eufemismo, “il mio narcisismo”. La “cruda sorte”, che ti confina in contemporanea e deprecabile presenza sullo stesso globo terracqueo con una banda di disutili, deve pesarti non poco sul tuo non poco ingombrante ego. Una lunga, desolata afflizione, essere sempre il Molto, in tanto deserto di Nulla. Ho sentito il bisogno di scriverti perché un avversario degno di questo nome va conservato, coccolato dentro di sé, bisogna sentirlo tornare su dalle viscere fino alla gola come i peperoni ripieni in tarda serata (esperienza diretta che una sera nemmeno un’intera confezione di Maalox pareva portare il sospirato alleviamento). Ecco, Floriano oggi sei il peperone che ho sullo stomaco. Non c’entrano né il tuo pur discusso ruolo istituzionale né la sordida accusa di estrema presunzione che ogni tanto qualche “stronzetto frustrato” ti rivolge: inconcepibile. Altro di te ha fatto l’avversario (e ti assicuro, non centra nulla la politica) che mi persiste sullo stomaco, persino dopo essere sparito dalla mia vista. Non che tu sia poi il nemico numero uno in questa comunità, il nemico ideale, il nemico perfetto. Certo oggi non ti stimo (anche se in altre occasioni ho scritto il contrario), ecco. Entrambi però sappiamo quanto la disistima sia un sentimento umano che si esprime in una forte avversione o una profonda antipatia. Casomai odio (quello sì) verso i leccaculo che ti girano intorno. Odio per i ghiottoni (nel senso monetario del termine) della tua corte. Odio per i radical chic, che fanno i sapienti progressisti col culo degli altri. Odio per gli invidiosi. E a proposito: è proprio vero che ogni giorno in questo paese s’impara qualcosa: se esiste l’invidia del pene, pare che a Guardia si sia sviluppata addirittura l’invidia dell’ingegno. Disistima, quella sì, ma non odio: anche se poi, diciamoci la verità, un filo d’odio e di rancore bisogna pur mantenerlo – non fosse che per conservare un po’ della propria salute mentale, un minimo di senso di sé -. Poco, però, senza farsene travolgere, appena appena, ma indispensabile: q.b., come il sale in cucina. Ogni tanto ti intravedo nelle foto, roseo e rotondetto, col calice sempre tra le dita come un turista del vino qualsiasi in gita domenicale, sempre stupito, però, di non trovarti mai ripreso con sandali e calzini ai piedi. E quando ti leggo sulle pagine del Sannio Quotidiano (dove ci spieghi sempre come stanno le cose); e quando ti scruto sul social, immaginandoti appoltronato a chattare col simpatico collega portoghese, a dibattere delle cose del mondo come arzilli soci del benemerito “Club delle Città del Vino”, ho un riflesso immediato di simpatia e la voglia di offrire a entrambi due prosecchini, due limonate, una granita, mezzo whisky a testa, due cremini, un Biancosarti, una sambuchina, una China Martini… Ma ecco che di colpo il peperone risale, risale, risale… E a proposito di risalire: tutto risale, diceva un filosofo dell’antichità. E così, gira e rigira, rieccoci al peperone iniziale. Ci fu una volta che avrei voluto dirti cose del tipo: ma come ti permetti? Ma chi cazzo ti credi di essere? (Però con molte più parolacce in mezzo). Invece non reagii. Non dissi nulla. Mi restò qualcosa sullo stomaco, come un pugno interminabile, il micidiale “effetto peperone ripieno”: e sullo stomaco, caro Floriano, ce l’ho ancora. Per anni non ti rivolsi più la parola, e tu non rivolgesti per anni la parola a me. Con reciproca, perfetta soddisfazione, suppongo. In ultimo, e chiudo, una curiosità più che una domanda. Probabilmente l’origine di queste poche righe: perché non sopporti che ci sia gente intelligente attorno a te? È semplice allergia o cos’altro?
Ad maiora e… un cordiale saluto