Sono al ristorante. Una pizza con gli amici. Mi guardo intorno. Il tizio seduto al tavolo di fronte mi fissa. Alza l’angolo destro della bocca. Forse c’è un accenno di risucchio. Ci conosciamo appena, ma so che sa, dal sogghigno lo so, e dice sottovoce “quello che scrive…” col tono di chi indica l’autore di uno stupro in un confronto all’americana. E il ghigno si muta in risolino soddisfatto, come a dire agli altri intorno a lui: avete capito chi è? Il panziano conversa affabilmente, sorseggia spesso vino, ha il sorrisetto odioso di commiserazione, appartiene ai gruppi scelti, i più puri tra i puri, la Pura Razza anti-anti-panziana d’incrollabile fede. L’amico che è con me prova a far finta di niente. “Non farci caso, sono fatti così”. Ah, sì, fatti così? Conosco uno solo di vista e da un quarto d’ora quello vorrebbe vedermi con un cappio al collo, e non dovrei farci caso? E perché non si cura? Chi gli ha messo in testa che può continuare a bere vino e a disquisire della sorte del sottoscritto? E perché io mi ritrovo a consumare una pizza con un simile individuo? Naturalmente costui rappresenta l’estremismo panziano. Ma in questo paese non è facile sfuggire. C’è sempre un indice pronto e puntato (Indice supremo, da Verità e Via, non indice qualsiasi). È una sudorazione continua, quella del panziano che continua ad osservarmi: lo osservo a mia volta e lo immagino agli ordini dell’Oggetto della sua Adorazione a caccia degli anti-panziani, essendo la sua ossessione e il suo concentrato vitaminico quotidiano. Non ci fosse, si sentirebbe come san Girolamo quando Roma cadde in mano ai barbari. Quelli come lui agli ordini dell’Oggetto della loro Adorazione non salutano ma si limitano a simulare un sorriso (di compatimento) che subito dopo si muta in smorfia (d’indignazione). Hanno l’indignazione facile, scatarrosa, lavica. Il panziano che ho di fronte, per qualche minuto la tiene, la trattiene con sovrumana fatica, un contrarre di mascelle, un irrigidimento del busto, un sospetto serrare di chiappe a motivo di più risoluta stabilità sulla sedia. Ha spesso, tra il serrare lo sdegno e il prorompere dello stesso, una faccia, diciamo così, da cane da punta, a muso appuntito: da fiutatore di nemici. Nella landa desolata guardiese egli s’assume il compito della Vigilanza Interna. È sui conoscenti, sugli amici che il suo occhio furbino si punta, è sulle parole degli altri che le orecchie vibrano. Ora che l’Oggetto della loro Adorazione pare rinsaldato in sella, hanno ripreso con maggior vigore le loro scorribande queste Milizie della Virtù de’ noantri, che vorrebbero cospargerti col miele della Verità. Oggi, purtroppo, è diventato piuttosto facile incontrare il panziano: a tavola, al bar, in compagnia di amici. Troppo facile, per i miei gusti. Al ristorante uno vorrebbe chiacchierare del più e del meno, parlare della vita, della politica, persino della prossima annata della falanghina. Oh, oh… Un’altra occhiata di compatimento. Quello che colpisce non è una polemica aperta, magari durissima, scrivi delle stronzate, non sono d’accordo con quello che scrivi, ma il giudizio che avverti sulla tua stessa persona. Una cosa di sguardi e di sorrisetti di condiscendenza, prima che di parole. La senti sulla pelle, fa immediatamente girare le palle. Nessuno, tra gli amici che ti conoscono, pensa che tu sia un venduto, che ricevi la mattina gli ordini dell’Oggetto della loro Adorazione – che di me saggiamente se ne frega –. Ma sei lì, con gli occhi del panziano addosso che sparge il piccolo veleno delle sue paranoie. Non me ne frega neanche più niente del suo oltranzismo da operetta. Una volta reagivo con un sorrisino, adesso non ho più voglia di farne passare mezza. Ma chi cazzo sei? Oltre al pattugliamento delle vite altrui, di che cazzo ti se mai occupato, nella tua vita? Bisognerà cominciare a limitare le pizze, di questo passo, in una località periferica. Io non ho mai attaccato nessuno senza un motivo valido, e una persona agli ordini dell’Oggetto della sua Adorazione si permette di giudicare il senso della mia vita. O ti tieni dentro l’umiliazione o sbotti. E io ho deciso di sbottare, di non concedere altro. Prendere le distanze e mantenerle. Tutta salute. Allora, calibrare meglio le cene, avere sempre un vaffanculo di riserva, e mai pronunciare frasi che suonano quasi come giustificazione: “Sono anti-panziano perché…”. Tanto, non siamo la stessa cosa, e alla fine, inevitabilmente, per questi panziani feroci e fanatici, uno (nel caso, io) resterà comunque “uno stronzo anti-panziano”. Beh, scusate se è poco.