La sconfitta della ragione

gennaroPer tanti anni mi sono consolato con il proverbiale “andrà meglio la prossima volta”. Sembra proprio che questo sia il mio codice genetico. E questo destino è confermato anche dalla storia di queste ultime ore: che dimostra come la coerenza in questa nostra comunità finisce per essere l’unica forma e garanzia di lealtà a ideali e imperativi morali, inconciliabili con l’esposizione ai vizi del potere e con le responsabilità che ne derivano.

In queste ore ho poi capito che l’accesso sia pure “democratico” al potere causasse la rinuncia, inesorabile e “realistica”, a valori e principi, l’abiura, necessaria e pragmatica, di tradizione, vocazione, mandato, e il contagio tocca anche chi è provvisoriamente e/o casualmente contiguo, che i veleni del compromesso e della corruzione, del familismo e del clientelismo sono così forti a Guardia da intridere l’intera società guardiese, da condizionarla: criteri affini ai comportamenti e alle modalità da “linea della palma”.

Beh! Se fosse vero che perdere è prerogativa di chi è convinto di stare dalla parte della ragione, allora dopo il voto di domenica dovrei pensare allegramente che oggi ne esce sconfitta la ragione, quella vera, che in questo paese non esiste più. Ne esce sconfitto quella parte del popolo guardiese parolaio e magna magna che ancora una volta, per chi non lo avesse ancora capito, ha dimostrato la sua vera natura e la vocazione al disfattismo, alla rinuncia della ragione. E l’istinto mafioso-clientelare dove lo mettiamo? Sintomatico di una tendenza irreversibile quella, cioè, all’idolatria della disonestà, del sotterfugio, dell’accattonaggio. Che schifo! Nemmeno la più abietta miseria giustifica, infatti, quel tendere la mano tremula per raccattare un favore! Ne escono sconfitte (benché se ne dica) quelle famiglie e tribù locali che in questi giorni si sono spostate armi e bagagli da uno schieramento all’altro (il mai morto Franza o Spagna purché se magna). Non a caso intere famiglie, interi gruppi di interesse consolidati e/o lobby di territorio, professionisti o pseudo tali, hanno prima scrutato e poi determinato il risultato elettorale. E non è neanche il caso di storcere il naso più di tanto: la prassi di condizionare il proprio voto alla concessione di un vantaggio è comunemente accettata e incentivata in tutto il mondo. Dai votanti prima ancora che dai votati. L’uovo e la gallina, ma se si potesse decidere chi nasce prima, nascono prima i cittadini che mettono all’incanto il loro voto e poi i politici che incassano e ripagano. E non dimentichiamo chi, da sempre emarginato, è ansioso di un salto di qualità. Che si vedrà, dopo il voto di domenica, finalmente riconosciuto una mobilità politica e istituzionale in termini di opportunità di carriera e ruoli di responsabilità. A questi si dovranno aggiungere i posti da distribuire ai mercenari-trasversali- che con tempismo hanno fatto armi e bagagli imbarcandosi sul piroscafo Panziano. Ma anche ai tanti spicciafaccende e vegetazione affine che ora per il rotto della cuffia si faranno “raccomandare” dai gggiovani consiglieri di maggioranza per accreditarsi al riconfermato sindaco almeno per un lavoretto della durata di un solo mese.

Così, nella fase del balletto della critica senza autocritica, del discolparsi e dell’accusare, del dire e contraddire: non siamo riusciti a dare una solenne lezione al “padrone” di Guardia che gli mettesse davvero paura, non siamo riusciti a fare quel salto da malumore a reazione, perché non so bene come abbiano votato quelli che hanno spalmato in giro il loro disappunto accidioso anche contro il loro stesso interesse. Mentre so bene come ha votato chi gravita intorno a quel circolo opaco rappresentato dal potere del riconfermato sindaco. E so bene anche come ha votato chi in questa comunità si arrende perché teme l’impegno personale e collettivo intorno a qualcosa d’altro, preferendo la delega alla responsabilità, il solito noto al sorprendente e forse felice sconosciuto.

Vorrei consolarmi pensando all’ira a stento contenuta, perché queste sono le condizioni nelle quali si è dovuto giocare la partita. Non sono disilluso, ho smesso di esserlo da quando non mi illudo più. Ma sconsolato si, per questa tremenda condanna che ci infliggiamo e che infliggiamo alla nostra comunità per avergli negato ancora una volta il cambiamento.

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