Approfitto dell’incontro pubblico con i giovani e le associazioni di Guardia Sanframondi, che la lista Tutti per Guardia terrà venerdì prossimo, per porre all’attenzione del dibattito alcuni spunti di riflessione.
Credo, innanzitutto, che se ci riferiamo alla fioritura delle idee e il fervore delle intelligenze, al comune sentire di una cultura popolare, le forme d’espressione vitali, Guardia non è più spenta di altre realtà del Mezzogiorno d’Italia e della media nazionale. Anzi. C’è poco, qui, ma anche altrove. A Guardia piuttosto resiste una maggiore animazione di appartenenza. Ci sarà meno cultura civica ma c’è un più vivace reticolo di solidarietà famigliare e comunitaria. Dubito, quindi, che si possa notare un deficit di capitale sociale a Guardia rispetto ad altre parti.
Se invece per capitale sociale s’intende senso civico, l’osservazione parrebbe fondata; ma se s’intende il patrimonio condiviso di esperienze, legami, reciprocità e solidarietà, lo scenario cambia e, per certi versi, s’inverte. Benché deteriorato, a Guardia c’è ancora un deposito di capitale sociale più ricco che altrove. C’è un familismo virtuoso che consente di ammortizzare la disoccupazione endemica e gli squilibri sociali. C’è maggiore osmosi tra cittadino e territorio, tra habitat e persone, tra generazioni e gruppi rispetto ad altre comunità. Ha più comunità, più memorie condivise – i Riti settennali lo testimoniano -, più retaggi, lignaggi comuni. Ovvero più condizioni per esprimere una cultura condivisa, un ordito sociale.
Ma se per cultura invece s’intende l’elaborazione intellettuale dei dotti e il ruolo della sua classe dirigente, allora no. Vedo una desertificazione del dibattito intellettuale, una pressoché totale assenza di istituzioni e riferimenti. Al posto dei circoli intellettuali, delle librerie ci sono, pub, bar… Ma, non voglio rilanciare la solita nenia per l’assenza (o la scomparsa) del dibattito intellettuale, almeno dai problemi di Guardia: se spariscono (o perlomeno si nascondono) i riferimenti, le istituzioni, volete che gli intellettuali restino a fare i cani da guardia al deserto?
E così che l’unica via d’uscita coincide con la via di fuga individuale. Ovvero l’emigrazione intellettuale, la fuga verso altri lidi. Questo indubbiamente è un bene dal punto di vista soggettivo ma è un male dal punto di vista contestuale: di solito, chi parte migliora la propria vita, ma peggiora il tessuto connettivo del proprio ambiente, la famiglia, la comunità di appartenenza. La crisi economica e demografica che travaglia questo antico borgo di contadini poi, è il coronamento di questa emorragia che rischia di dissanguare la comunità. Oggi chi emerge a Guardia emerge per proprio conto, individualmente, indipendentemente e nonostante il tessuto civico.
So quanto sia difficile, ma sicuramente è possibile avviare una politica d’incentivi per scoraggiare la fuga dei nostri giovani. Perché oggi, almeno per quel che concerne la nuova generazione, abbiamo una Guardia da asporto. Dalla valigia di cartone al trolley. Giovani guardiesi con la valigia. Ieri come oggi. Ieri, una massa in fuga dalla fame e dalla povertà più nera. Oggi, una giovane élite preparata, specializzata, che si spinge verso mete lontane, non per la miseria, ma per la delusione nei confronti di una comunità matrigna che mortifica la loro speranza, le aspettative, la capacità di sognare. Non più braccia lavoro ma soprattutto menti qualificate, non più valige di cartone ma trolley leggeri, niente cartoline strappalacrime ma sms d’addio ironici e spiritosi. I cordoni ombelicali non sono spezzati, ma sono wireless tramite internet e telefonini.
I latini dicevano ad maiora. Un augurio di crescita, di sviluppo costante, di conquista di nuovi orizzonti. Ma quali orizzonti offre oggi la comunità che noi tutti conosciamo? Un paese che sembra – è – bloccato, con una classe dirigente avvitata su se stessa, che in questi anni non ha saputo, non ha voluto trovare slancio perché i soliti noti non sanno, non vogliono incamminarsi su un sentiero inesplorato, diverso da quello che porta ai loro interessi, alle loro posizioni consolidate. Dinosauri che ingaggiano prove di forza per dimostrare di non essere ancora reperti da museo. E chissenefrega se c’è una comunità che soffre, arranca, si accascia, indebolita per la mancanza di nuova linfa, di energie nuove. Allora mi chiedo: è una comunità moderna quella che non rispetta le sue eccellenze al punto da indurle a partire e che non riconosce nei fatti i vecchi e nuovi guardiesi come una risorsa preziosa e necessaria? È ancora possibile mettere in moto un cambiamento di prospettiva? Intervenire con decisione per impedire questo spreco di risorse umane? Far si che il merito non continui per lo più a rimanere uno slogan da lanciare in ogni competizione elettorale davanti a un pubblico speranzoso e in buona fede?
La risposta è stata fino ad oggi incerta. Si sono sentiti balbettii, e nessuna risposta decisa, chiara. Quel che appare certo è che oggi non si può più vivere solo di mammà e nemmeno di babà.