Apprezzo l’avvio del dibattito politico in questo paese, sebbene circoscritto. Il timido “risveglio” dal letargo di una comunità sempre più narcotizzata dalle fragranze della convenienza, è già un piccolo miracolo. Che dire! Gli inquilini dello stabile di via Municipio, 1 (chiedo scusa, i neoeletti!! di maggioranza) non rispondono alle mie sollecitazioni? Caro Carlo Falato, innanzitutto ti ringrazio per la puntualizzazione in testa alla tua lettera (inviata dal sistema solare, in risposta ai neoeletti di maggioranza) e per rispondere consentimi di usare un modo di dire da me ampiamente abusato in gioventù (in romanesco, dati i miei trascorsi): “Num me ne po’ fregà de meno”. Che equivale, tradotto in idioma universale: chissenefrega! D’altronde, come ben disse un noto filosofo tedesco dal nome impronunciabile: “La probabilità che alcune persone siano stupide è indipendente da qualsiasi altra caratteristica delle stesse persone”. E mi fermo qui!
Ho letto attentamente la lettera di Carlo Falato, sobria e moderata, com’è nel suo stile. Non entro nel merito. Nel giochino sadomaso dove i giocatori, dello stesso versante, si dividono in rottamatori e rottamati (quel che non è chiaro è chi stabilisce i titoli per essere rottamatori). Un giochino al massacro che non mi appassiona e che, come tutti i giochi, è soltanto un massacro virtuale.
Ora Falato dice: lavorare per un cambiamento possibile. Già, ma chi, con chi è a fare che cosa? Da anni in questa comunità si cerca di dare una risposta a questa domanda. E nessuno, in questi anni si è fatto avanti in modo convincente.
Bene (e auspicabile) lavorare per un cambiamento possibile, ma chi sono gli “attori” predestinati al cambiamento? La solita folta schiera di politici da bar che patisce la sindrome italica? Quelli, per intenderci, che annusano l’aria e appena sentono da che parte va il vento, portano il gonfalone? Piegati alla paura e alla convenienza. Incapaci di scavalcare provincialismi e visuali ristrette; senza la forza centrifuga per bypassare ras locali e diatribe intestine. Succubi dei capricci dei padrini.
Bene lavorare per il cambiamento, perché questa è una comunità dove nessuno sente di dover rispondere al passato o all’avvenire, ognuno vive solo nel presente. E il degrado di Guardia viene da molto lontano. Oppressa com’è da vizi e vizietti del clientelismo (sempre presenti ovunque morde la politica), che però cominciano ad assumere le dimensioni della patologia.
Bene lavorare per il cambiamento, perché stiamo assistendo passivi ed impotenti al proliferare di una politica arrogante, immorale, arrivista che viene colta, da uno stuolo di lungimiranti cittadini guardiesi, come il miglior campo occupazionale della propria esistenza. Un terreno ricco di prospettive economiche, di privilegi e di tutele per se stessi e per un altro folto stuolo di familiari, amici e sostenitori!
Bene lavorare per il cambiamento, perché è palese ormai che la strategia dei neoeletti di maggioranza non è sicuramente quella di assecondare il cambiamento in questa comunità, incline com’è a difendere lo status quo, bensì, al contrario, quella di ostacolare il cambiamento cercando di sottrarre consensi a chi il cambiamento lo vuole!
Bene, allora, lavorare per il cambiamento. C’è una sola incognita: è ancora opportuno rimanere nell’infinito gioco dei quattro cantoni in cui tutti cercano un posizionamento, mentre il “patriziato” che vive mantenuto e protetto, va avanti per la sua strada? Io dico di no! Indugiare oltre sarebbe solo accanimento terapeutico. Perché il disarmo unilaterale dei neoeletti di maggioranza è un dato di fatto: al di là dei numeri, costituiscono inevitabilmente un ciclo concluso. La loro parabola è finita prima ancora di cominciare. E i giudizi su di loro non potranno essere più motivo di unione né di divisione.