Neppure se i nostri amministratori si presentassero sul comune abbigliati e agghindati con folte parrucche incipriate alla marchese del Grillo, la maggioranza dei guardiesi capirebbe l’errore fatale che ha commesso votando quelli del cambiamento travestiti da nuovi. Il trucco c’è e si vede da almeno vent’anni, ma funziona sempre, nell’immediato: poi, con calma, la gente si accorge di avere scambiato gli i(r)responsabili per rinnovatori e li butta dal castello dei Sanframondo, ma nel giro di pochissimo tempo ricade nell’errore. Eppure le ricette sono sempre le stesse: le più fallimentari mai viste. A immunizzarci da questa coazione a ripetere lo stesso suicidio di massa non basta neppure la vista delle stesse facce di 20-30 anni fa, che promettono le stesse cose con gli stessi slogan senza che nessuno si domandi perché non le hanno mai fatte.
Che altro serve all’opinione pubblica guardiese per capire che questa è gente non soltanto pericolosa per la comunità perché incapace financo d’intendere e di volere, ma perché profondamente, intrinsecamente, geneticamente inadeguata, collusa e devota solo agli affari suoi? Eppure basta prestare attenzione all’ennesimo remake del Giorno della marmotta, dove c’è una sola novità: se prima lorsignori nascondevano le loro peggiori intenzioni, adesso le confessano spudoratamente. L’hanno fatto un paio di giorni fa sui social e sulla stampa locale, riguardo ai rilievi mossi dalla minoranza sulle colpe della denatalità (o della decrescita felice) di questo paese: non imputabile sicuramente all’attuale amministrazione visto il numero considerevole di manifesti augurali per i nuovi nati.
Certo, servirebbe che qualcuno – oltre ai soliti “disfattisti” – reagisse a questi bollettini talebani indecenti come meriterebbero. E che l’opposizione la smettesse di depistare l’attenzione dai veri problemi per inseguire i fantasmi di Pignataro, spacciando questa amministrazione per qualcosa di nuovo e facendole il più grande dei favori: ma d’altra parte lo sapevamo tutti e lo sa anche il leone dell’Annunciata che non c’è nulla di più vecchio, muffito e stantio di questo circolo di grandi amici. Ma chi vuole può capirlo benissimo da solo.
Questa è Guardia, un paese dove esiste solo un circo, e la politica non è per le idee ma per chi è capace di sputare più lontano. Un paese dove l’unica speranza è che si facciano opposizione da soli e vadano in corto circuito prima di mandarci tutto il paese. Ma nel teatrino della politica locale chi rappresenta oggi, nel corrente settembre del 2023, la possibile novità, il cambiamento, l’alternativa? Nessuno. A tre anni dalle ultime elezioni non c’è nessuno in campo che rappresenti l’alternativa per il vero cambiamento. Anzi con l’avvento dell’attuale amministrazione la parola cambiamento è stata bandita dal gergo guardiese ma anche dalle attese della gente. L’unico cambiamento di cui si parla a Guardia è climatico. Da una parte chi amministra (per modo di dire) ha i piedi di piombo, per timore di sbagliare e di essere trafitto prima del tempo; dall’altra ci sono solo persone che rimpiangono quando c’erano loro al comune. Non c’è nessuna alternativa. Nel giro di pochissimi anni li abbiamo provati tutti, siamo stati sulla giostra del cambiamento su tutti i cavalli: c’era sempre qualcuno che rappresentava l’alternativa al potere vigente. E tutti a turno o insieme sono andati al Palazzo. Adesso non c’è più nessuno. Insomma non ci sono più vergini in campo, tutti sono stati nel Palazzo, si sono sporcati le mani e non hanno più alibi di sorta.
Per anni Guardia ha coltivato una tresca più o meno segreta, una relazione costante e adulterina tra un circolo di poche persone. Succedeva già nei decenni scorsi. Ora, invece, al di fuori del circolo, non c’è più un aspirante salvatore sulla scena; e non è più d’uso la parola stessa cambiamento, per le elezioni del 2025 si vagheggia solo di ritorni di ex-sindaci, assestamenti, arretramenti, ripristini, correzioni e restaurazioni. Nessuna speranza di un ritorno della parola cambiamento. Soltanto polvere sotto il tappeto, insomma, come a Pasqua, quando viene il prete a benedire le case.
È segno che a Guardia siamo diventati in un certo senso maturi, non aspettiamo più favolosi e tenaci salvatori della patria guardiese? No, semplicemente li abbiamo provati tutti, nessuno è stato riconosciuto, una volta che si sono tolti la maschera; comunque non rappresentano più la novità. Così, nel corrente settembre del 2023 e a poco meno di due anni dal voto, nessuno impugna più la bandiera del cambiamento, agita il tema della svolta, ma, anzi, invoca addirittura il tema della collaborazione e della condivisione. Né s’intravede gente disposta a seguire nuovi capipopolo in questa avventura. Siamo nella fase del disincanto, del totale affrancamento dalla politica, anzi soprattutto della fuga dalla pseudo-politica paesana. Nessuno spera più in chi manda sul comune, nondimeno che possa arrivare qualche mutamento importante o addirittura una rivoluzione per questo paese. Oggi la politica è solo manutenzione. Ci sono solo schermaglie tipo quelle dei giorni scorsi ai bordi della politica. O qualche stanco revival di polemiche trapassate. Ma non c’è un vero tema d’attualità ( se si esclude il tema dell’emergenza idrica) che realmente attraversi e divida la società civile guardiese e generi mobilitazione, interesse, schieramenti. E anche le tematiche di cui si parla da svariati decenni interessano poco e motivano poco: l’ultima questione, peraltro giusta, sulla scuola è caduta in un distratto silenzio, con un leggero senso di fastidio e un evidente disinteresse. Ormai anche i guardiesi più attenti hanno percepito che il comune decide poco, deve attenersi agli indirizzi altrove stabiliti e dunque non si aspetta più cambiamenti sostanziali e soluzioni a problemi specifici da parte dell’amministrazione, men che meno da quelli oggi in campo. Soprattutto ora che anche l’ultimo giapponese sull’isola deserta che è questo paese si è tolto la fondina, ha deposto la pistola ed è andato in pensione, nel disinteresse generale.