Quando le tragedie della storia si ripetono, insegna Marx, lo fanno in forma di farsa. Dopo tre anni, è ufficiale, sul comune abbiamo un gruppo di buoni a nulla capaci di tutto, che marciano compatti come falange macedone sull’obiettivo finale: ammazzare di noia questo paese.
Quello che pensiamo di questi fenomeni, come di chi li ha preceduti, l’abbiamo scritto più volte, almeno per quello che si può scrivere, e chi ci segue lo sa bene. Però guardando le cose per come sono cercando sempre di essere obiettivi. E poi, un vero amico quando l’altro sbaglia glielo dice: infatti li avevamo avvisati che, a fingersi morti per sopravvivere, bastava quello di prima. Ma una battuta e qualche critica non bastano certo a risolvere il problema della loro pericolosa inutilità per questa comunità e di tanti altri fenomeni che pascolano in Comune, solo per soddisfare i propri, di bisogni, ma lontani miliardi di anni luce dai veri bisogni dei guardiesi. Soltanto la prova del tempo ci svelerà di che morte dovrà morire questo paese.
Comunque adesso è tutto chiaro. Ci hanno preso ancora una volta tutti per il culo, insomma.
Vatti a fidare di certi politici della domenica, soprattutto di quelli con P maiuscola che parlano e straparlano (soprattutto su Facebook) e credono di essere l’ombelico del mondo politico guardiese.
Certo è che dopo averli visti all’opera anche il tifoso più acceso avverte che a Guardia non è cambiato nulla, e che il cambio di amministrazione non ha prodotto alcuna discontinuità. Infatti, l’unico rischio che oggi corrono è che nessuno noti la differenza. Visto anche che i guitti di oggi – anche quelli che continuano a parodiare quello di prima perché vorrebbero essere come lui – non riescono a realizzare nulla più che l’ordinaria amministrazione. Considerato anche il fatto che non c’è più nessuno che li controlla (giocano tutti con la stessa maglietta), e non c’è allo stesso tempo nessuno che dice loro che sono dei buoni a nulla. Ma tant’è! Ciascuno compie le scelte che reputa più vantaggiose, provando a sopravvivere. Probabilmente, non so forse li prendevano in giro da bambini, e oggi ci vogliono far pagare il fatto che i cittadini di Guardia non li hanno capiti e li stanno bocciando. Nessuno di loro deve dimenticare però il poeta latino Publio Siro: “Fortuna vitrea est, tum quum splendet, frangitur”. Traduzione: “La fortuna è come il vetro, più brilla e più è fragile”.
Capite adesso il nostro stato d’animo. Noi che abbiamo sempre tifato per il cambiamento, da ben prima che con le elezioni diventasse uno slogan. Noi, che dopo il voto faticavamo persino a capire il perché la gente non li avesse votati in massa. Noi che in quei giorni, dopo l’esito delle urne, ci sorprendevamo sulla mancanza di beatitudine e una statua equestre. Ma nonostante questa specie di Sindrome di Stoccolma abbia colpito un po’ tutti, poi però li abbiamo visti all’opera, i nostri eroi contemporanei, e d’un tratto ecco la folgorazione: i guardiesi li hanno votati perché sono dei geni (e questo pone qualche seria domanda sul senso della democrazia rappresentativa). Sì perché solo la mente eccelsa di un genio poteva favorire la nascita di una squadra come quella che (purtroppo) i guardiesi hanno portato al comune. D’altra parte, l’intelligenza che è una gran bella cosa, non sempre ti aiuta a capire quello che succede, ma anche ad averne troppa si rischia di perderne il controllo e andare in testa coda. E a Guardia, purtroppo, l’intelligenza non si concepisce mai come contropotere, ma come protesi e lingua del potere. Ha sempre bisogno di un padrone da servire. Se il padrone ordina, obbedisce. Se l’ordine non arriva, lo previene. Se il padrone cade, se ne cerca un altro. E non cambia mai idea, non avendone di proprie: cambia soltanto padrone.
Ma non è finita qui! Si pensava che, coronato il sogno del potere dopo lunga e penosa opposizione, non si accontentassero delle “postate” sui social. Che erano comprensibili quando erano ghettizzati dalla gestione precedente, non ora che servono i fatti e serve anche che i nostri rappresentanti siano un esempio di coerenza con le idee e le promesse fatte ai cittadini. Invece i nostri parlano e postano più ora di prima (il recordman è il neo-eletto di professione avvocato, forse a pari merito con i nuovi giovani astri della politica strapaesana), tutto il resto non pervenuto. Evidentemente non hanno compreso che ai cittadini non serve la semplificazione dei messaggi, la polarizzazione del dibattito e il crescente distacco dalla realtà. Anche se in politica, lo sappiamo e lo vediamo ogni giorno nel nostro Belpaese, tutto è concesso e i nostri si barcamenano facendo a gara a chi la spara più grossa e a chi partorisce l’insulto più divertente, perché questa è la conseguenza diretta di un modo di fare politica che ha lasciato indietro i confronti sui temi e ha abbracciato la ricerca smodata del consenso e del like a tutti i costi, sacrificando il contenuto per la forma. Ed è così che pian piano anche in questo paese la politica è diventata autoreferenziale, parlando sempre più a sé stessa e sempre meno ai cittadini: e se parla lo comunica su Facebook. Come si fa a non mettersi a confronto con la cittadinanza? Soprattutto sui temi e problematiche da decenni al centro della comunità: futuro, giovani, territorio e sostenibilità ambientale, scuola, ecc… Tralasciando per carità di patria le ridicole e tafazziane campagne a colpi di like e volantini con l’opposizione, oggi il travestimento da San Sebastiano di questa amministrazione su questi temi ormai non suscita solidarietà, ma ilarità.
Oggi i social stanno impoverendo e piegando il confronto politico di questo paese a una logica autoreferenziale, basata solo sull’emotività. La comunicazione digitale – grazie soprattutto agli smartphone – è entrata a pieno titolo nella vita dei guardiesi, dalla casalinga al professionista. È il post più ficcante a decretare chi è davvero il più intelligente del reame, vivendo l’attesa con una forte ansia da prestazione, aspettando like e commenti dagli amici. Ma si può pensare di amministrare una comunità con i like? La vera politica a Guardia non esiste più anche per questi motivi. Oggi il consenso si forma con i like: più pollici alzati hai e meglio è. Ma questa non è la politica, non è amministrare una comunità. È solo strumento d’impoverimento e semplificazione dei messaggi, polarizzazione del dibattito e crescente distacco dalla realtà. La politica dei like dei nostri amministratori parla a sé stessa: e poi ci ritroviamo a sentire le solite proposte. Basterebbe chiedere de visu a chi ha ricoperto cariche istituzionali cosa ha prodotto di concreto negli anni per il paese e per il proprio territorio, perché non bastano due post su Facebook per potersi arrogare il diritto di definirsi laboriosi e attivi. Nessuno, ad esempio, in questi anni ha più investito per rendere appetibile questo paese (anche in inverno). Non si sono fatte più grandi cose. Quando invece bisognerebbe dare più importanza alla qualità della vita delle persone invece che al bilancio. Accettare di vivere un po’ più piano e più lentamente, senza l’ossessione del like, ma cercare di farlo tutti, e di farlo meglio. Abbassare un po’ i giri, acquisire una nuova mentalità. Che oggi non c’è. Ma sembra di parlare guardiese antico a dire certe cose, visto che i fatti non ci sono.
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