Guardia non è spenta. Ma per accorgersene però bisogna adottare altri sguardi, affidarsi alla natura, alla terra, all’alba, alle nuvole, a sguardi attenti e amorevoli di ogni giorno per poter riprendere il volo. Bisogna accendere i fari sulla vita che c’è nel paese “vuoto”, sui bisogni dei cittadini, le attese e le aspirazioni di quanti restano (pochi, ma sufficienti per autorizzare la speranza), tornano e – più raramente come gli “ospiti” stranieri -, arrivano. La rappresentazione e l’auto-rappresentazione di Guardia come luogo incantevole continua tutt’oggi a connotare la percezione collettiva. Ma non basta! Allo stesso modo, persistenti e inossidabili appaiono i cliché dei guardiesi: testardi e ospitali, abitanti di una terra che, attraverso la sua rappresentazione di fede e tradizioni, inesorabilmente e astrattamente ideale per la sua arcaicità, congenitamente terra sorprendente, appare semmai non migliore e non peggiore di altre, ma sempre diversa.

Guardia non è spenta. Ma non possiamo continuare a fidarci di politici e abitanti che non hanno mai osservato un’alba e un tramonto e non conoscono la meravigliosa e sofferta natura del luogo in cui abitano senza averne cura e senza amarlo.

Tutto quello che non è accaduto a Guardia negli ultimi decenni (centro storico, degrado, qualità della vita, ecc.) è anche legato a una classe politica senza visione. Di quella politica facevano parte anche diversi membri dell’attuale amministrazione. Non possiamo più fidarci di loro, politici o presunti tali che hanno ampiamente dimostrato di non saper adottare misure alternative in grado di far spiccare il volo a questa comunità.

Guardia non è spenta. Ma per accorgersene dobbiamo chiederci se è ancora possibile vivere in un paese “vuoto”, con pochi bambini, lavoro introvabile, tanti anziani e con una dotazione di servizi pubblici in forte contrazione. Se si può abitare una comunità ormai rinsecchita, un paese sempre più ostile al benvivere, e dove la qualità della vita è calpestata quotidianamente.

Ovvio che si! Tutto testimonia che in questo luogo si continua ad abitare, a fare progetti, a manifestare bisogni, a sognare. C’è ancora vita. Ci sono famiglie con figli piccoli che hanno deciso di restare. Tanti giovani che hanno scelto di continuare a risiedervi, intraprendere attività innovative per mettersi in proprio e avviare un’attività redditizia e tanti altri che resterebbero se si creassero le condizioni per fermarsi. E soprattutto ci sono anziani, il più delle volte soli, che restano perché da sempre radicati in questa terra e che mantengono vive relazioni sociali di prossimità e minute economie. Allora si può aspirare a un futuro diverso per Guardia da quello contratto e cupo della tendenza demografica e dell’indifferenza di chi è chiamato ad amministrare? Certamente, si! Solo se rovesciamo i vincoli in opportunità: la rarefazione demografica come alternativa alla congestione urbana; la lentezza come guadagno di tempo per abitare lo spazio; la distanza dai servizi essenziale per sviluppare forme di mobilità e accessibilità diverse, diagnostica innovativa e cure mediche adeguate. Serve soltanto uno sguardo partigiano per riconoscere i cittadini che hanno scelto di restare, la loro voglia di continuare a vivere in un contesto appartato, diversamente appagante. Serve dare potere decisionale e assicurare la rappresentanza politica ai residenti. Serve il coraggio delle sperimentazioni. Servono politiche dal basso e non solo dall’alto di uno scranno comunale per far diventare strategie, progetti, azioni le visioni di futuro che – come gli acini dell’uva falanghina – maturano anche in questo luogo.

Ma per far questo bisogna uscire dalla retorica prospettica della bellezza incantevole. Guardia ha gli stessi problemi di altre realtà del nostro Mezzogiorno. Con le dovute differenze. E quello che occorre (e non perché lo dico io) è riattivare il desiderio vitale (individuale e collettivo) di “combattere” per costruire opportunità migliori. I paesi sono belli e brutti luminosi e fatiscenti adorabili e puzzolenti e non basta un soffio di turisti della domenica per risollevarne le sorti, Guardia resta per il settanta per cento un paese decrepito…

Mettiamo in fila tutte le negatività di Guardia e partiamo da queste (per risolverle) invece che dall’immagine edulcorata della festa d’agosto con abbuffata al seguito. A Guardia i guardiesi devono tornare a “combattere” per la propria vita, combattere nel senso migliore e quotidiano del termine (che è soprattutto politico, e non solo antropologico) come lo fanno da altre parti. La retorica non serve. Il realismo è la fonte necessaria di ogni possibilità di vero miglioramento. Il sentimento non guasta, ma non basta.