Chi rappresenta la propria comunità dev’essere qualcosa tra il nonno e il re, fra il preside di liceo e un busto di bronzo sulla piazza principale del paese…deve salutare i suoi concittadini con larghi e corretti gesti della mano; sorridere con labbra laiche e civiche, e soprattutto conoscere l’arte di apparire inanimato come un oggetto di gran valore. È un’idea, un simbolo, un’astrazione che trova corpo ogni cinque anni; è una corona provvisoria…
Io sono orgoglioso di essere guardiese, ma oggi mi vergogno d’essere un cittadino di Guardia. A tutti coloro che bestemmiano Guardia per la manifesta incapacità dei suoi rappresentanti a risolvere i loro problemi, per la cattiva gestione, per lo sperpero del pubblico denaro, io vorrei rispondere che Guardia non c’entra. Tutti i mali della vita guardiese nascono non già dal popolo ma da chi gestisce Guardia. Poiché non è vero che il popolo (come ho scritto più volte) ha gli amministratori che si merita; è l’amministratore che fa il cittadino. A un’autorità che non sa amministrare, che avvilisce i cittadini, che sperpera i denari pubblici, corrispondono cattivi cittadini. Quando qualcuno qualche anno al termine della campagna elettorale (parafrasando Massimo d’Azeglio, evidentemente) da piazza castello ebbe a dire: “Fatta Guardia bisogna fare i guardiesi”, disse cosa cretina. Poiché bisognava fare prima l’ente per cui si candidava, unico strumento per fare i guardiesi, cioè per rifarli, per rieducarli, avviliti com’erano da anni di cattiva amministrazione…
Dovremmo dunque per un tale intollerabile stato di cose, bestemmiare Guardia? No, perché Guardia non c’entra. Date a Guardia un’amministrazione capace, onesta, leale, giusta, fondata sul rispetto della persona e della moralità, e le cose cambieranno.
Ciò detto, credete davvero che io mi diverta molto a fare l’oppositore di professione a questo o a quel sindaco, a questa o quella amministrazione, in perpetua lite col mio tempo? No, non mi ci diverto affatto. Non mi diverto perché Guardia è un paese nel quale nessuno vuol recitare la parte che gli compete: tutti vogliono fare la primadonna, anche i maschi, e nessuno sa recitare senza il suggeritore… Ieri davanti al bar ad esempio mi sorpresi a osservare i volti dei presenti; non un viso intelligente, occhi furbi soltanto, ma nessuna luce d’intelligenza. Cagnolini socievoli, ubbidienti, che pensano al pasto. Gente pedante, parassiti e sofistici, predicatori delle vecchie leggende paesane, pappagalli pertinaci di tutti i luoghi comuni, avvezzi a stazionare nei pressi del palazzo. Il guardiese è un personaggio che abbiamo costruito a poco a poco su vecchie storie verbali, un tipo simpatico, che amiamo, pur giudicandolo severamente, buon padre, lavoratore, competente, gran cuore, appassionato, modesto, ecc. Ma lo conosciamo ben poco; è ateo, pensa soltanto ai quattrini, sogna di non lavorare, disprezza qualunque ordine sociale, non ama la terra dove ogni mattina si reca a guadagnarsi il pane; sa difendersi soltanto dalla malattia e dalla fame. È un animale feroce e casalingo. E in un paese così dove tutti pensano soltanto a mangiare e a far quattrini, a divertirsi e a comandare, è necessario che vi sia ogni tanto uno che rinfreschi la visione delle cose, che faccia sentire lo straordinario nelle cose ordinarie di questo paese, il mistero nella banalità, il palco dalla realtà. Faccia capire che da anni siamo amministrati da un piccolo esercito di già vecchi che conservano segreti indicibili e ogni tanto (di solito ogni cinque anni) ne distillano una goccia per ricordare a chi di dovere che sanno tutto: è il loro elisir di lunga vita e di carriera. Più sai, meno parli, più campi. Non importa cos’hai fatto e cosa sai. Infatti per questo non se ne vanno mai. E se messi a riposo forzatamente collezionano cariche altrove e nessuno riesce a levarceli di torno.
Io non sono uno di questi uomini. Sono uno spirito libero, una persona che non si fa imbrigliare dalle false apparenze e che non si fa uccidere dalla routine della vita e che si assume la responsabilità delle proprie azioni. Io non scrivo per raccogliere consenso, non scrivo per farmi bello, non scrivo per ruffianeggiare questo o quello. Scrivo unicamente per sfogarmi, nel senso più fognaiolo che vi sia dato pensare. Nulla di delicato uscirà dalla tastiera del mio computer nei confronti di siffatti personaggi. Finché ci saranno sarò sempre all’opposizione.
P.S. Il presente articolo è frutto di un plagio plurimo aggravato. Molti pensieri sono tutti rubati nell’ordine: a Leo Longanesi “Fa lo stesso e Parliamo dell’elefante”, a Marcello Veneziani “La Cappa” e a Curzio Malaparte “Battibecchi”. Ma erano così belli, acuti