“Perché è così difficile occuparsi di Guardia e realizzare grandi cose quando si assume un ruolo di responsabilità?”. Questa domanda retorica ci mette davanti al vero nocciolo della questione Guardia. Prima di tutto perché da qualche anno una fitta nebbia, forse una cataratta, è discesa sulla politica e sulla società e rende il paesaggio indecifrabile, tra sagome fuggenti, soggetti smarriti, in cerca di posizionarsi. Chi giunge dalla vallata infatti distingue solo la rocca e la sagoma della gru da tempo ormai parte integrante del paesaggio, il resto è ombre in movimento. Un posto incantevole che aspetta solo l’asteroide. Un posto dove la legge inesorabile, il Primo Comandamento, che ammazza ogni volontà politica e sociale di incidere e di modificare le cose, di progettare e realizzare, è una e soltanto una: pararsi il culo, conservare la poltrona. Ecco cosa realmente blocca questo paese, non i bilanci, la burocrazia, le risorse scarse (o almeno, non solo quelle). Ma la regola regina che in questa comunità distoglie propositi ed energie per convogliarli tutti là, nell’esercizio più difficile di equilibrio, prevenzione e auto-conservazione. Pararsi le chiappe è l’apriori della classe politica e dirigente guardiese, il prerequisito per far parte della bolla patologica del potere, dove marcia la psicopolitica attuale. Ergo, prima che la buona amministrazione, la qualità della vita, le opere pubbliche essenziali, a Guardia bisogna pararsi il culo. E così salvaguardare il fondoschiena non è un’attività marginale e solo precauzionale; ma è la prima mansione, la prima attitudine richiesta a chi si vuol proporre alla guida della comunità perché appena ti insedi nella casa comunale, sei messo subito perfettamente a tuo disagio, in posizione di precarietà e di vulnerabilità, insomma di dipendenza, se non di ricatto o di minaccia. Al punto che capisci subito due cose: la prima è ricordarti che sei di passaggio. E poi: ricordarti di non decidere, ovvero di non compiere mai una scelta definitiva, anche se ponderata e utile. Devi prima incassare l’autorizzazione a procedere, i veti incrociati degli amici di cordata e le maldicenze dei perfidi cittadini, le imboscate giudiziarie (ma a questo ci sta pensando il governo, con l’abolizione dell’abuso d’ufficio) e poi devi accordarti con quelli che c’erano prima di te, accontentare e dilazionare, diluire le tue idee fino a svuotarle di contenuti. In altri termini la principale attività che assorbirà tutto il tuo tempo è sopravvivere, affinando tecniche, strategie, relazioni e cerimonie di sopravvivenza. Ovvero, ancora, pararsi le chiappe. Per governare questa comunità, la preoccupazione prioritaria non dev’essere fare ma durare; le legge inesorabile del potere in questo paese e non solo politico: la prima preoccupazione quindi è conservare con ogni mezzo e mezzuccio la poltrona; la seconda è sventare le insidie altrui, boicottando ogni possibile crescita di personalità ingombranti; la terza è procurarsi i mezzi per realizzare i programmi, questuando fondi, permessi, compiacenze. Quel che resta è dedicato all’esercizio costruttivo del potere, alla sua perpetuazione.
Per questo a Guardia si è sempre realizzato poco. Le energie vengono esaurite solo per resistere, per parare i colpi bassi, medi e alti. Perdendo di vista la ragione prima per cui si è in quel posto, perché hai ricevuto quel mandato. Anche il giudizio pubblico e mediatico si adegua alla legge prima, pararsi il culo. E il giudizio non è mai: è bravo, non è bravo, ha fatto bene o non ha fatto, ha ragione o ha torto, ma dura oppure cade. E se resta in piedi non importa se resiste per capacità propria o perché si è pupazzi di qualcun altro. L’importante è stare in piedi, anche da pupazzi; purché ci si para il culo.
Pararsi le chiappe a Guardia è una strategia di sopravvivenza. È l’arte e la filosofia del paraculismo: si vis pacem para chiappem. Allora che fare, fuggire da ogni incarico, rifugiarsi a montecoppe o in fondo alla piana?
Chi a Guardia spera di cambiare le cose, smetta di sperare ma ce la metta tutta per cambiare, con operosa disperazione. Agisca come se dovesse farcela ma pensi l’impresa come eroica e temeraria. Scelta difficile e un po’ schizoide, ma non vediamo altra via. Motto valevole sia per chi amministra, sia per chi abbandona che per chi resiste: non si vive di solo culo.