Ricordati che devi morire (mo me lo segno)

Che inverno assurdo ci aspetta, vissuto tra paura e incoscienza. I volti delle persone scomparsi ormai sfigurati dietro le mascherine, sempre più avvolgenti e isolanti, fino a essere dimenticati o riprodotti nei profili social a futura memoria, come nelle foto dei cimiteri. Non gioite, non ridete, non avvicinatevi, non smascheratevi… La salute innanzitutto, dopodiché, ecco: i danni collaterali. Il più incombente dei quali è la nuova lotta di classe al tempo della pandemia. Da un lato i garantiti dall’altro i precari. Tutti si sentono in campi diversi, minacciati dall’inverno che viene; chi minacciato dalla precarietà di lavoro o di salute, chi dall’incertezza epocale, chi dal giudizio popolare, chi dalla chiusura della propria attività, se torneremo a vivere in una società aperta e globale o autarchica e chiusa. E tutto balla: case, affitti, impegni, progetti. Garantiti versus precari, dunque. I primi propugnano un lockdown modello marzo 2020, i secondi – ovvero i precari – ne sono terrorizzati. Ai garantiti il lockdown si trasfigura in una sorta di Grande Fratello pret a porter, con la cena ordinata in uno dei ristoranti cool a colpi di App e di Mastercard. E si sa: anche i ricchi covidano. Nel Paese avanza in ranghi sparsi e distanziati un popolo di cittadini frustrati, di mezzi dipendenti in smart working, di mezzi baristi e ristoratori penalizzati. Grottesche disposizioni di cui ci sfugge ogni logica e ogni profilassi; lunghe attese in auto per avere un tampone, i controlli, la diffidenza verso gli altri cittadini; ne basta uno sospetto e tutti gli altri finiscono in quarantena. Andate nei treni e nei bus e provate a viaggiare senza rischiare promiscuità, controlli fasulli e rischi di contagio. La gente si fa sempre più rara nelle strade, nelle piazze, nei locali pubblici e nei luoghi un tempo frequentati. Solo ombre fuggenti in brevi sortite all’esterno, cioè all’inferno. Si tengono alla larga da ogni vago simile che apparisse all’orizzonte. I rapporti tra gli umani si fanno astratti e disincarnati, ridotti solo a comunicazioni protette, a distanza. Tutto ciò che attiene alla vita reale e naturale si fa virtuale, remoto, distante, separato da un vetro, uno schermo, un display. La vita si svolge sempre più agli arresti domiciliari, dove si sono diradate anche le possibilità di riunire anche i nuclei famigliari, tra sospetti di contagi e limiti di numero. Nonni e nipoti sono diventati reciprocamente una leggenda, si vedono dagli oblò dei social come macchine del tempo: trapassati o posteri. Forza bambini tra poco è Natale, cantate Jingle Bells, sfogatevi. Jingle bells, jingle bells, Jingle all the way. Già, Natale. Mai come quest’anno il Natale non dovrebbe arrivare mai perché non ci aspetta nulla di buono. Incastrato tra due incubi, uno alle spalle e uno davanti, siamo aggrappati al Natale come a una zattera estrema di felicità, tregua e ristoro. La salute e il lavoro, la pacifica convivenza e l’economia per ora è un rebus. C’è chi si avvelena il Natale perché si porta avanti col pensiero e coi timori; c’è chi i disagi li vive già adesso e patisce l’annunciata apocalisse sanitaria; il catastrofismo prosegue sul piano sociale, prevedendo devastazioni sul piano del lavoro e dell’economia. Con la minaccia aggiuntiva del conto che ci presenterà l’Europa quando e se comincerà a scucire fondi per aiutarci (o per affossarci). È un paradosso: il mondo si allontana dalla nostra vita e dai nostri rapporti ma la nostra dipendenza dall’estero cresce. Viviamo l’attesa in corso subendo il mantra minaccioso di “non abbassare la guardia”. L’allarme sanitario serve a far dimenticare l’allarme socio-economico, la risorta emergenza dispone la facoltà di bloccare nuovamente tutto, rinviare per lockdown. È la sconfitta dell’umano, del pensiero libero, della natura, dell’amore, dei corpi, della realtà. L’umanità, ormai abolita, si divide in defunti ed ex-umani. Non c’è proposito di vita che non sia compromesso, minacciato o modificato pesantemente dall’inverno pandemico. In generale nutriamo sfiducia. La gente ancora si sposa furtiva per recuperare nozze rinviate in estate o per anticipare nozze a rischio futuro. Con mezza luna di miele. E tra un tunnel alle spalle e un tunnel davanti, l’unica salvezza provvisoria è vivere ogni istante come se fosse perpetuo, ovvero fingendo che non sia effimero.

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