I miei primi 65 anni

Avevo vent’anni quando i Pink Floyd  pubblicarono “Wish You Were Here”, un brano che sembra solo una poesia, ma per me è molto di più, è il motivo di quell’età così leggera e remota. Ne facevo la parodia, con la mia voce in falsetto: “So, so you think you can tell… How I wish, how I wish you were here”. Oggi quegli anni sono passati, dopo una vita di Marlboro la voce non è più la stessa e devo pure dir grazie alla sorte. “Come vorrei, come vorrei che fossi qui…”, intonava la voce di Gilmour. Sono arrivato puntuale a quel rendez-vous fissato già 45 anni fa. Una vita fa, un mondo fa, una storia fa. Nella Roma antica rottamare i sessantenni non era un modo di dire: ossia i sessantenni erano da gettare dal ponte Sublicio nel Tevere. In realtà il lancio era figurato, buttavano nel fiume solo il simulacro del rottamato. Basta questo quadro di partenza per chiudere qui ogni discorso e parlare d’altro. Adesso che sono traslocato a pieno titolo nella dignità degli ultrasessantenni, ho smesso ogni pretesa, anche giusta. Gioco a carte scoperte con la sorte e aspetto il turno, paziente. Rimpianti? Molti! Delusione? Tanta! Ad iniziare dalla mia comunità, dalla politica locale e i suoi presunti primi attori, spesso fumosi ed opportunisti, tutt’altro che sinceri e trasparenti, per finire a quella sensazione d’inganno che dà fastidio, che allontana dalla fiducia, e quando si perde la fiducia è meglio allontanarsi, è meglio dedicarsi ad altro. È la politica, bellezza, e non c’è da scandalizzarsi. D’accordo, ma ci sono mille modi per fare politica, tuttavia credo che per ciascuno esista un limite di schiaffi in faccia da sopportare, specie se gratuiti e senza secondi fini, limite che ho abbondantemente raggiunto. Ricevo segnali in cui mi si chiede di non desistere, di crederci ancora. Fatica inutile. Li guardo con tristezza. Forse chi li manda non ha ancora raggiunto il limite, io sì. Io non sono così ottimista. Lungo il sentiero della vita talvolta si condividono con altri segmenti di strada, è giunto il bivio da imboccare per conto mio, con un bagaglio di rinnovata consapevolezza. Ho sempre pensato alla mia comunità come ad una relazione sentimentale e, credetemi, io Guardia l’ho amata davvero, sono certo che chiunque mi conosca un po’ di più possa confermarlo senza tentennamenti. Ma esiste un sentimento chiamato rispetto, e per me conta più di qualsiasi cosa. Tutto qui…

Sessantacinque anni, è un’età piuttosto strana: troppo tardi per cullarsi nel passato, troppo tardi per confidare nel futuro. Allora non resta che la consapevolezza del presente, del momento, dell’istante. L’istante è questo virus del cazzo, l’istante è un paese senza acqua potabile, è un libro a cui sto lavorando già da qualche anno, la birra sulla scrivania, lo sguardo alla finestra socchiusa da cui filtrano i colori ed i profumi dell’autunno. Ho sempre amato questo periodo, quando il caldo fastidioso si attenua ed aumenta la percezione del tepore dentro di sé, quando ogni cosa sembra rallentare ricoperta da una patina di nostalgia. Sessantacinque anni non sono pochi, non sono un traguardo e di certo lasciano una scia di rimpianti, ma molti di quegli errori li rifarei senza alcun dubbio, perché in fondo la vita – come disse un noto attore in un vecchio film di guerra – è un’avanzata verso le pallottole e le mitragliatrici: quando sei lontano ne senti il fischio, poi, man mano che ti avvicini, è sempre più difficile cavarsela, e prima o poi ti beccano. Dobbiamo rassegnarci, ma anche vivere al meglio perché non saremo mai più giovani come in questo momento. Ed è grazie alla consapevolezza del valore del tempo che oggi voglio ringraziarvi per quello che mi avete concesso con i vostri auguri, perché in fondo fa sempre piacere sentirsi apprezzati. Grazie…

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