Ci sono i verdetti. Si cerca di immaginare come sarà il domani. Ma la domanda resta, ed è: se alla fine cambierà qualcosa per Guardia Sanframondi. In questa campagna elettorale per certi versi anomala entrambe le formazioni in campo hanno parlato di tanti temi, dal turismo alla viticoltura, ma soprattutto dei nostri giovani. Negli ultimi anni è come se fosse sparita una intera generazione, tutti hanno ripetuto drammaticamente, nei programmi elettorali, sui social e sui ballatoi. “Lavoreremo per i giovani che non vogliono lasciare la propria terra…”, ha affermato proprio oggi il neo sindaco Di Lonardo. Bene! L’importante è che non diventi il pianto del coccodrillo. Ma poi, siamo sicuri che i nostri ragazzi vogliano restare a Guardia? Quanti ragazzi sono spariti da Guardia? Chi li ha rapiti? Semplice, l’Anonima Espatri, ossia il progresso, ovvero la modernità, cioè la globalizzazione. Per anni a Guardia abbiamo elogiato i ragazzi che vanno via di casa, che sulle ali di Erasmus e Ryanair, s’involano per i cieli globali e si liberano da quel catorcio che era ed è il loro paese, la loro provincia, la loro famiglia. Me li ricordo gli elogi, “il guardiese nel mondo” et similia, a chi se ne è andato. Ma già allora bisognava capire che la loro fuga non andava vista soltanto dal loro punto di vista singolo e contingente o con gli occhi asettici del modello globale ma andava commisurata alla realtà, al mondo che abbandonavano. Da una parte le famiglie guardiesi, già decimate dalla denatalità, private di figli, di energie dinamiche, depresse di prospettive, abbandonate alla loro desolata anzianità dal divorzio verticale fra genitori e figli, e dall’altra Guardia, abbandonata e disabitata, accartocciata su se stessa, avvizzita, attempata; un paese svuotato dai più giovani e più intraprendenti. E si è continuato pure negli ultimi giorni di campagna elettorale dove dal ballatoio qualcuno ha decretato euforico la necessità di fuggire da Guardia – iatvenne! –, lo ha considerato un segno di emancipazione e di sviluppo, non rendendosi conto che così veniva decretata la morte a Guardia. Mandando, ai restanti, come si faceva alle famiglie in lutto, quello che da noi si chiama “il consolo”; cioè il pranzo o la cena della nostalgia, che è innocuo e serve solo a dimenticare l’estinto, accettando il destino globale: così ai nostri giovani negli anni è stata consigliata la partenza, ai restanti è stato offerto il cibo di consolazione.
Ma lo vogliamo capire che Guardia è ridotta a una rampa di lancio per spiccare il volo e andarsene appena possibile? È come il molo 12 del porto di Napoli, il porto di partenza di inizio secolo scorso per migranti, equipaggiati stavolta di curriculum da far fruttare altrove. Perché qui da noi i titoli, i meriti, le capacità non valgono. Solo ora ci si accorge che istigando alla fuga, abbiamo spento Guardia? Ma lo vogliamo capire che la tendenza alla fuga da Guardia che prosegue ininterrotta da decenni, è fisiologica, ed è del tutto impermeabile alle stagioni della politica e ai suoi avvicendamenti. Lo svuotamento di Guardia è irreversibile, e accade come se fosse scritto dal fato. Sappiamo già in partenza che senza un progetto straordinario con gente straordinaria, senza missionari dell’impossibile, non si potrà mai invertire la tendenza, ripopolare Guardia (non di americani, s’intende) e risvegliare la vita e il lavoro in loco. Ma lo vogliamo capire che, finita l’era degli insediamenti industriali, boccheggianti le opere pubbliche, negate le premesse sociali e culturali per un rilancio della natalità, a Guardia resta solo una strada: diventare meta attrattiva? Pensiamo piuttosto a far tornare le gente a Guardia, trasferirsi a Guardia, far tornare le nostre giovani menti, in età matura o in pensione. Se, poniamo, venissero a vivere a Guardia qualche centinaio di nuovi/vecchi cittadini oltre i ragazzi partiti, si potrebbero generare altrettanti posti di lavoro nei settori annessi: commercio e artigianato, opere e infrastrutture, agricoltura, turismo e cultura, perfino ricreazione. Potrebbe rifiorire la vita. Per invogliare numeri così alti occorrono piani d’incentivazione fiscale, pensioni detassate, garanzie di sicurezza, standard di efficienza, programmi di rilancio edilizio agevolato e non solo per i centri storici. Il sole, il clima, la viticoltura, non bastano, l’ospitalità antica della gente guardiese nemmeno e neanche il costo della vita più basso. Dio sa quanto sia difficile questa strada, ma ce ne sono forse altre, per rianimare e ripopolare Guardia, se non la trasfusione di popolo e l’incoraggiamento a procreare?
Intanto – e mi rivolgo ai nuovi amministratori, a cui vanno i migliori auguri di buon lavoro – non fate come chi vi ha preceduto, evitate nei prossimi cinque anni di piangere la scomparsa di Guardia. Non fatevi solo le foto con i filari alle spalle, le bellezze e il paesaggio. Perché tutto ciò che sale così repentinamente rischia di scendere con la stessa velocità, se non altro perché il collante dell’obiettivo da raggiungere perde efficacia quando si tratta di costruire, facendo affiorare diverse sensibilità e relativi attriti. Mettete sulla vostra scrivania, oltre la foto di Floriano Panza (a mo’ di avvertimento, come disse quel tale della Lega riferendosi all’ex Pdc Renzi), la foto delle case diroccate di quella parte del centro storico, il degrado, i ruderi abbandonati o le antiche stradine un tempo animate e ora desertificate e sigillate. Perché una comunità, le case dei nostri nonni come le persone se non sono amate, poi s’ammalano, fino a morire.