Qualcuno dice che durante l’isolamento forzato si è tutti più buoni. Non è vero. In questi sessanta giorni ognuno ha amplificato ciò che è. Il timido si è nascosto. Il misantropo si è dato ragione da solo. L’egocentrico si è incarnato nel virus. L’esibizionista ha cantato Lucio Battisti dal balcone di casa. L’insicuro ha cercato su Google il senso di ogni direttiva del governo. Il pessimista ci ha ricordato che tutti devono morire e l’ottimista che andrà tutto bene. Il caporale ha fatto il caporale (e probabilmente non aspettava altro). Tutto il tempo con la paletta in mano, o tutto il tempo lì, alla finestra a spiare ogni movimento. Sicuramente non gli sfugge nessuno, dal conoscente che passa con il cane, a quello che non indossa la mascherina, quello che corre, quello che starnutisce, innocui bagnanti, sporadici avventori o isolati corridori che vengono inseguiti sulle spiagge come criminali, e soprattutto chi, nonostante tutto, si ostina a sopravvivere come se nulla fosse. Ha ritrovato il suo mondo perfetto, il caporale. Il potere a portata di mano. Sta facendo il giro su tutte le testate nazionali la notizia di una zelante vigilessa del comune di Lecce che, durante il funerale di una ragazza poco più che trentenne, ha iniziato a chiedere documenti e fare controlli tra amici e congiunti riuniti attorno al feretro. Si parla di 15 persone in un ampio piazzale (all’aperto) dove non vi erano più di 20 persone strette nel dolore ma fisicamente distanti tra di loro. Episodio che fa riflettere. L’eccesso di zelo inteso come sinonimo di mancanza di umanità e rispetto per gli altri. No, non è affatto vero che la reclusione ha reso tutti più buoni. Lo dico subito: all’ipotesi speranzosa – ai confini del misticismo – che dopo “saremo migliori” non ho mai dato molto credito, e lascio a ognuno interpretare i numerosi segnali di incattivimento. Come lascio a ognuno il legittimo dubbio che il lockdown, la cattività, è funzionale ai giochi di palazzo, al comitato di salute pubblica, e non certo alla salute collettiva. Unisci questo quadro alla vanesia, fanfarona, irritante esibizione di alcuni politici, gli show inconcludenti su aiuti che non arrivano mai, allora ti accorgi che qualcosa si è rotto, il malessere sta facendo saltare i nervi a tutti, l’un contro l’altro. C’è un’aria terribile. Lo vedo anche nel mio caso personale, lo riconosco: costretto davanti la tv non riesco più neanche ad ascoltare i tg, i programmi di approfondimento, quelli delle news, programmi come quello della vipera tirolese o simili su La7, i tg di Mentana, il tg1-2-3-, o ad ascoltare, solo ad ascoltare, la voce della faziosità assortita da mane a sera. Siamo restati a casa, per ordini superiori, per necessità, per salvarci la pelle, per paura, per dovere, come forma d’amore. Il virus è arrivato, ha fatto un po’ di danni, generato allarme, e come è arrivato così tra qualche settimana se ne andrà e nessuno lo vedrà. Come l’Ebola, Aviaria, Sars, Mers, tutti nomi che abbiamo conosciuto ma non ci hanno messo davvero paura. Non li abbiamo mai sentiti sulla pelle. Il nuovo coronavirus, battezzato Sars-Cov-2, è ancora un perfetto sconosciuto. Nonostante la pletora di virologi tronisti non sappiamo ancora nulla di lui, come si muove, la sua forza, come e dove colpisce, se torna, se basterà il vaccino, se una volta sconfitto dagli anticorpi si resta immuni. Questo virus è Nessuno. È per questo che (ci dicono) farà danni. L’unico conforto è legato alla parziale riapertura da lunedì prossimo. E quindi, alla apertura (forse) di bar e ristoranti (la riapertura vera: take away, come si usa dire oggi, e consegne e asporto mi mettono tristezza). Mi manca il caffè al banco. Mi manca il bar per la sua facilità di strada, è aperto a chiunque passi. Si entra nei bar senza incertezze, senza il dubbio dell’estraneità, la soglia di un bar non è mai un confine, è sempre un buongiorno. Nessun luogo pubblico è più pubblico. Mi manca il bar. Mi manca il mio bar di paese dove ci conosciamo tutti e, come attività principale, ci prendiamo per i fondelli sbevazzando caffè e aperitivi. Chissà se, quando riapre, il mio bar preferito sarà come era prima. Caro Conte, caro Boccia, caro Speranza, fateci uscire! E aprite i bar o moriremo tutti!
Un po’ di spina dorsale, ecchecxxo! Non ha ancora capito che ci sono state 31.000 persone che avrebbero preferito CAMPARE, anche un settimana in più, rinunciando al suo dannato bar? Lei si guarda allo specchio la mattina? O si limita a tagliarsi la barba?