Fratacchione

Una domenica sera, ormai in astinenza del cazzeggio al bar con gli amici, della carbonara al ristorante, dell’aperitivo, della partita di calcio e del fine settimana nel deserto. Del bicchiere della staffa. Di ogni amplesso. Che cosa resta da questa immane tragedia alias reclusione?

La faccia di De Luca.

Labbra sottili e tremolanti, un ghigno tra il perfido e il beffardo, dopo un breve scambio di battute con Fazio sull’apprezzamento di Naomi Campbell, il governatore campano ha apostrofato il conduttore simpaticamente come fratacchione: “Io sono favorevole a tutti gli affetti, sono convinto che anche lei, nonostante la sua immagine da fratacchione, abbia molti affetti stabili in giro per l’Italia”.

Oggi distinguere De Luca (a detta di molti, l’erede della tradizione comica italiana), dalla parodia di Crozza è impossibile. L’uno è un ottimo comico da cinepanettoni l’altro è solo un bravo caratterista da palcoscenico. Asporto sì, asporto no, asporto boh. De Luca si rimangia tutto in poche ore. I suoi comizi sui social a dir poco pittoreschi hanno soltanto il pregio allietare le lunghe giornate da passare tra le quattro mura domestiche a causa dell’epidemia. Dopo aver amministrato con modi staliniani la regione Campania, si è trovato alla ribalta, imponendo un linguaggio repressivo che ha sposato la paura della gente, facendosi paladino dello stare a casa, inasprendo le direttive del presidente del consiglio, imponendo un coprifuoco che in Campania non si ricorda nessuno e giustificandolo con dirette tele-social. Sapendo che il popolo impaurito dal Covid-19 invoca la massima repressione contro chi si ostina a non rimanere in casa, non rispettando quanto decretato dal governo. E tutto questo senza che nessuno lo riporti alle sue precise responsabilità e ai suoi compiti di amministratore.

Una strategia comunicativa aggressiva. Ma che sembra funzionare bene. Applausi a scena aperta per lo sceriffo salernitano. Un demone politico che si è mangiato avversari e dibattito, un cannibale che si è annesso buona parte dei media e la maggioranza dell’opinione pubblica: che lo vede come il conductor perfetto, l’uomo forte nel tempo debole, e lui, conscio del ruolo e della forza che cresce in modo trasversale, accelera: propugna una sanità efficiente – che è una bugia da Potëmkin – e illude; mostra un controllo del territorio ducesco con una piramide di efficienza che comincia e finisce nella sua stanza; intanto tutti a casa, con la Campania che rassomiglia all’Iran di Khomeini: propaganda e orgoglio.

Questo comico da cinepanettone che governa la mia regione non sa spingere il suo monocolo là dove le cose realmente avvengono. Si limita a proiettare se stesso nell’universo mondo. “Farla franca” è il suo motto. Già, perché chi è che vorrebbe prolungare all’infinito l’emergenza, la chiusura della regione, spostando la liberazione sino alla data delle elezioni, di fase in fase? Chi è che ci guazza in questa quarantena, ne approfitta, si avvantaggia, su piani diversi? Chi è che in questa paralisi si sente importante, decisivo, determinante, esercita il potere allo stato puro, e riduce noi cittadini a bambini, malati e delinquenti, tutti con l’obbligo di stare dentro? Chi è che prolunga questa condizione per stremare i cittadini, devitalizzarli e abituarli e intubarli, e farli appena uscire ma con la minaccia che se non fate i bravi tornate in castigo? De Luca.

Ma pensiamo per un’istante cosa ne sarebbe stato di De Luca senza la pandemia. Avrebbe dovuto lottare, e molto, per riottenere una candidatura, invece, con la pandemia il governatore della Campania si è ritrovato ormai candidato unico, il Pd, inizialmente scettico, sarà costretto a ricandidarlo in carrozza, vincitore in pectore e con un potere enorme – essendo anche commissario della Sanità: quindi controllore e controllato -, e con il silenzio totale dell’opposizione in consiglio regionale e anche fuori. Ci siamo divertiti un po’ tutti quando Maurizio Crozza iniziò a imitarlo e caricaturarlo in televisione, ma oggi che il presidente è davvero diventato una sorta di nuovo viceré spagnolo del Regno non più di Napoli ma della Campania il riso è diventato non solo amaro ma anche diabolico. Basti considerare un solo aspetto: le ordinanze restrittive della libertà di un semplice presidente di regione non sono per nulla osteggiate dal governo. Tutt’altro. Il governo ostacola e impugna le ordinanze che vanno nel senso dell’apertura, della ripresa della normalità, ma nulla dice e in sostanza è favorevole alle ordinanze immotivate che vanno verso una maggiore chiusura, che limitano ancor di più la vita pubblica e privata dei cittadini, come fa lo sceriffo di Salerno con i suoi runner definiti “cinghialotti che andrebbero arrestati per oltraggio al pudore”.  De Luca, con la pandemia si è costruito un alibi perfetto, teme di tornare alla vita normale perché sa che l’incantesimo si spezzerebbe, il consenso di gregge, automatico e impaurito, verrebbe meno: è pronto a dire che è colpa nostra – di chi esce, di chi corre, di chi lavora, di chi ama, di chi respira – se il contagio (Dio non voglia) risalirà in modo significativo. Ma è un inganno perché in tre mesi il suo compito era uno solo e non l’ha fatto: riorganizzare la disastrata rete ospedaliera che lui ha distrutto. Si chiama alibi del potere. Ricordatevelo.

2 commenti

  1. Il personaggio è quello che è e lo conosciamo bene: però, ha provato a domandarsi come sarebbe stata la Campania, in questa circostanza, senza De Luca? Io si e la risposta non mi è piaciuta

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