Che mondo sarebbe senza i talk-show

Sarà una triste campagna elettorale quella che passeranno i teledipendenti dei tanti, anzi tantissimi, talk-show. Quello che gli esperti di media chiamano “l’anomalia italiana”. Un flusso esorbitante di politica scorrerà nelle prossime settimane nei palinsesti della nostra tv, insinuandosi in tutti i format e annichilendo ogni confronto con altri paesi. Distribuiti su tutto l’arco della giornata, per tutti i giorni della settimana. Un format unico dell’anti politica. Una rappresentazione plastica delle isterie della politica italiana e dei suoi principi di fondo. Uno psicodramma collettivo dove mettere in scena proiezioni, desideri, indignazioni, scissioni. Un unico, mastodontico reality. Composto da peones di vari partiti, affetti dalla sindrome da video, arrivati alla politica non certo per meriti, qualità, serietà e opere ma solo per virtù demagogico-televisive o per servilismo furbo verso le cupole di potere. Leader e sottoleader, titolari e riserve, persone note e persone da spingere verso le seggiole dei talk show e altre da tenere lontane (per quanto possibile) dalle telecamere. Nel vasto mare dei talk, “Porta a porta” sembra un faro di civiltà. Tra un Giletti e la consueta arringa “Orgoglio & Vitalizio”. E una Gruber – glitterata in insostenibile corpetto d’argento tipo i “Rockets” – e il suo “Otto e mezzo”, ormai praticamente un pied-à-terre di Paolo Mieli (che si annoia), Severgnini e, sotto la sua magnifica barba ermeneutica, l’onnipresente Cacciari in collegamento da Venezia, che ci dice che “non bisogna sentirsi disperati se non si lavora, occorre liberarci da questa etica del lavoro a tutti i costi, io per esempio mi riempio la vita leggendo dalla mattina alla sera anche se nessuno mi paga”.

“Il pubblico è stanco dei talk-show, vuole il varietà”, titolava nel lontano 1993 l’Espresso, riportando i dati di un sondaggio sui gusti degli spettatori. Ebbene oggi i nostri talk sono “il varietà”. Di gran lunga il migliore che abbiamo. C’è la conduttrice inclinata in avanti come fosse seduta sul water, il conduttore che racconta la politica in maniche di camicia e chi fa accomodare gli ospiti su enormi cassette della frutta al posto delle poltrone o degli sgabelli. Un ribaltamento epocale. La rappresentazione plastica del clima di austerity, con i politici che non vengono più fatti “accomodare” ma esposti alla gogna televisiva. Seduto sulla cassetta della frutta, o in “collegamento”, il politico spiega “la politica deve tornare a occuparsi di quelli che non contano niente”. Tutti d’accordo. Mai uno che per sbaglio, timidamente, avanzi l’ipotesi di un paese reale sconnesso dal mondo. La regia svela gli ospiti successivi in piedi nel backstage come i cantanti di “X Factor”. Applausi in studio, brividi a casa. Gli occhi cercano la telecamera: “Quella signora che ci sta guardando da casa e ha il nipote che porta le pizze in motorino: sapete quanto prendono adesso? Cinque euro l’ora. Noi gliene diamo nove lordi”. Applausi. A qualcuno luccicano gli occhi. Chissà che non ci scappi pure un materasso e una poltrona. Una delle peculiarità di queste trasmissioni è il ritmo forsennato con cui il pubblico applaude. Più o meno ogni minuto e mezzo, come le risate registrate delle sit-com di Sandra e Raimondo. Si parla tra un applauso e l’altro.

Forse il vero asso nella manica di queste infinite maratone politiche è “l’angolo delle previsioni” di Paolo Sottocorona, meteorologo, divulgatore, artista della digressione pura, capace di passare dalle perturbazioni di Pasquetta al consumo consapevole dell’abbacchio.

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