Inconsistenza e vacuità politica, accentuato personalismo, culto narcisistico della immagine, demagogia e populismo. Non so quanti italiani riescano ad appassionarsi a questa sgangherata commedia in cerca di scrittura, ovvero alla campagna elettorale, che cerca di rianimare il triste canovaccio con mosse da cinepanettone. Con Renzi che dice basta Casini e poi lo candida, Salvini che dice basta Berlusconi e poi ci si allea, Liberi, Uguali e Confusi che dicono jamais ai Cinquestelle e poi vogliono governarci assieme (insomma Liberi, Uguali e Contraddittori), Orietta Berti che vota per i 5 stelle e… apriti cielo. Una valanga di proteste si è liberata nei confronti della cantante solo per aver espresso un’opinione; rinforzata anche dal fatto che, ospite fissa del programma di Fazio, potesse rappresentare un volantino mediatico visibile e perenne. Insomma la solita bagarre mediatica, inutile e soprattutto distraente. Adunanze, ospitate tv, tabelloni 6 metri per tre, i faccioni semi seri di Berlusconi, Renzi, Grasso già inquinano le città… mille bolle blu, sparse nell’aere, come nemmeno i santoni indiani riescono a fare, e i sostenitori, come trote all’amo, in venerazione mistica. Qualcuno, qualche giorno fa, nell’ascoltare Renzi dalla Gruber, ha perfino sentito profumo di gigli, ma è da verificare scientificamente; in Vaticano ormai, con il nuovo papa, son più restii a certificare sulla fiducia certe “prove” di santità.
Sarà perché oggi, terzo lunedì di gennaio, è il “Blue Monday”, il giorno più deprimente del calendario, ma tutto ciò non mi appassiona né mi appaiono minimamente interessanti gli accapigliamenti di contorno dei papabili candidati che, con tutti questi passaggi tv, rischiano il collasso o, per lo meno, l’esaurimento, gestiti dai cosiddetti opinionisti che comunque operano totalmente dentro questo contesto e vi si infangano nel momento stesso in cui permettono dibattiti inesistenti e dadaisti. Non ci sono domande scomode perché con i politici, non si fa. Nessuna richiesta fuori copione che non fosse già concordata. Persino quel po’ di dibattito in rete sui miasmi di questa palude non riesce a strapparmi una speranza, o perlomeno un sorriso, anzi mi pare triste e inutile, il segnale di una resa con mugugno piuttosto che un tentativo di riscatto. Il fatto è che le promesse e intenzioni di questa meschina campagna elettorale non sono credibili e anzi evidenziano ancora di più l’inesistenza di un’offerta politica poiché tutto alla fine deve correre sui noti binari posti dall’Europa, dalla moneta unica, dai trattati economici che nessuno si prefigge di ricontrattare nel concreto. L’attuale legge elettorale, poi, sembra concepita per incoraggiare lo status quo attraverso il miraggio di una maggioranza resa possibile da circa il 40% dei voti nazionali su base proporzionale, con il 60% circa dei collegi uninominali a favore. Un miraggio, appunto. È vero! Nella realtà delle cose può succedere di tutto, ma l’eventualità più probabile è che un minuto dopo lo spoglio delle schede saltino tutti gli schemi di gioco, le alleanze, gli apparentamenti, i matrimoni d’interesse. In mancanza di una coalizione vincente, in assenza di candidati premier, ogni scappatella diventerà possibile. A meno che… Beh, allacciatevi le cinture. Perché lo scenario più plausibile è un altro Governo Gentiloni. Chiunque vincerà le elezioni sa già che a governare, fin sul limitare dell’estate, sarà ancora lui: Paolo Gentiloni, ovvero la prosecuzione del Nazareno. Insomma siamo in una situazione miseranda creata dalla grossolanità politica e culturale di chi ora chiede il voto, ma se non altro offre un vantaggio: dobbiamo sentirci in obbligo di dare un voto utile, poiché in un certo senso sono tutti utili anche se qualcuno riesce persino ad essere disutile. Un voto utile che non ci faccia sentire legati a malintese fedeltà, tradizioni, colleganze e tantomeno a paure e incertezze visto che alla fine il vero governo ha sede altrove e che in quell’altrove se ne fanno un baffo delle promesse come uno sberleffo: siamo più liberi o almeno lo sono quei cittadini che non fanno parte dell’area clientelare, di far sapere loro che esiste chi dice basta. In attesa di resurrezioni, incrociamo le dita.