Per fortuna non è la politica a fornire la voce principale del bilancio delle nostre vite. Vita e destino procedono lo stesso. Per questo, nell’abbozzare un rendiconto politico di questo 2017, non è il caso di prendersi esageratamente sul serio. Semmai c’è da meravigliarsi che la politica, con relativo teatrino, sia ancora viva.
Negli ultimi anni la politica, è diventata un terreno di scontro tra “moderati” e “populisti”. Anche la storica divisione tra sinistra e destra si è affievolita. L’arena politica è rappresentata principalmente da una divisione tra “centro” e “periferia”. Dove il centro rappresenta quelle classi sociali che detengono ancora una forza economica (e quindi temono di perderla), mentre la cosiddetta periferia indica tutti i grandi sconfitti dell’ondata di globalizzazione e che adesso non hanno quasi più nulla da perdere. Ed è proprio sul quel “quasi” che si giocherà la prossima partita elettorale. Una maggioranza silenziosa e dimenticata. Il cui interesse nel diritto di voto diventa sempre più debole. Il giovane architetto o avvocato di 30 anni che svolge professioni intellettualmente complicate con una retribuzione pari a 0. E non per uno stage, ma per anni interi. E la rassegnazione di una persona a reddito zero mal si sposa col diritto/dovere di voto, soprattutto in un’ottica di progressiva distruzione del “privilegio individuale” in favore di un non determinato successo di una “flessibilità”.
Abbiamo una disoccupazione unica al mondo, un debito pubblico unico al mondo, 10,5 milioni di italiani in povertà ed a rischio di esclusione sociale (30 %), un dato da terzo mondo, questioni sociali che urlano vergogna e una campagna elettorale partita nel peggiore dei modi, con promesse imbarazzanti davanti a cui avrebbe indietreggiato persino Achille Lauro; ma l’unica cosa che sappiamo fare è cadere nell’ennesimo tranello retorico e indignarci per una battuta retorica di Travaglio.
Quali sono e saranno le misure di contrasto alla povertà degli italiani e chi è in grado di portarle avanti? Ci sono stati tre premier e due elezioni per il Quirinale. Non abbiamo ancora trovato una rassicurante via di fuga dalla crisi economica. C’era Mario Monti e la sua ricetta miracolosa per salvare il Paese: trasformare gli italiani in tedeschi. I pochi con cui ci è riuscito sono tutti morti, di stenti. Dopo Monti, Enrico Letta, arrivato al potere e subito stritolato dagli intramontabili e dai trenta-quarantenni affamati gigliati e senza scrupoli. Non doveva stare sereno, evidentemente. E il passaggio di consegne tra Letta e Renzi? Il campanello: uno dei simboli della passata legislatura. Ora si torna al voto senza sapere chi possa davvero vincere le elezioni. Una campagna elettorale, una delle più dure nella storia della Repubblica, giocata essenzialmente sul fronte mediatico, con poco spazio dedicato alla propaganda più tradizionale fatta di comizi e assemblee sul territorio. Su tale canovaccio si srotolerà la fase elettorale delle Politiche 2018. E poi c’è la regina delle dimenticate. La democrazia rappresentativa a suffragio universale. Quel sistema che mal si sposa con la società attuale. Porcellum, Italicum, Rosatellum e altri animali strani. Quello che è uscito fuori da questa legislatura è un ircocervo strabico che serve a un solo fine: non permettere agli italiani di scegliere chi governa.
Proseguendo, come non commuoversi allo straziante spettacolo del Bischero di Rignano (il cui futuro economico è assicurato), del suo abbraccio scansato da tutti i possibili alleati consapevoli della sfiga che procura? Ormai all’appuntamento elettorale nessuno vuole ballare con lui. Renzi scommetteva su un grande futuro, gli è passato accanto e ora fa ciao con la manina. Il referendum doveva essere il suo plebiscito e su quello ha sbruffoneggiato. Ha perso e vagheggiato un ritiro. Poi è tornato al tavolo sicuro di una rivincita. Ancora si guarda in giro perplesso chiedendosi chi sia il pollo. Non trova una risposta ma prima o poi ci arriverà. Infine, tra un brindisi e l’altro, come non provare tenerezza per Maria Elena Boschi, che dice con quella vocina da Cenerentola il proprio sincero disagio quando le si imputa di essersi affannata tra authority e banche, non tanto per salvare Banca Etruria (istituto verso cui lei non avrebbe motivi personali d’interesse), quanto per tutelare gli orefici aretini dalle grinfie di Banca Vicenza…
Avanti così. Avanti verso nuovi, inesplorati orizzonti. Buon 2018