Auguri di Buone Feste a tutti (o quasi tutti) i guardiesi!

Perché in questi tempi confusi e senza orizzonti, dove il sentimento più forte è la rassegnazione, dovremmo accettare l’invito rivolto dall’amministrazione Panza a smettere di indignarsi, di accusare, di vedere tutto nero? Quando tutto ciò che si ritrova in questa comunità, tutto quello che gli gira intorno è solo illusione. È virtuale. È un rumoroso social network che però (volendo) si può far svanire con un semplice click. Non è vero che non si può fare più scuro della mezzanotte. In questi giorni di festa a Guardia, di sculture calcaree realizzate con i depositi calcarei derivanti dall’eccessiva durezza dell’acqua potabile erogata dall’Alto Calore, c’è un buio pesto (e non solo per l’assenza delle luminarie), che fatichi ad immaginare, e che sprofonda ancora di più nelle tenebre e ti lascia a casa. Non c’è più neppure la voglia di maledire. C’è solo un silenzio incredulo, che scivola nella rassegnazione. Facce sconfitte, meste, il pianto senza lacrime dell’opposizione presa regolarmente a pesci in faccia, con lo sguardo che punta il vuoto. Con i guardiesi abituati a tutto: ai figli senza lavoro, a una vita da Facebook e a tirare a campare. È quello che siamo, gente a cui hanno strappato il futuro. No, non è certo questa l’apocalisse. Come non lo è il raddoppio della linea ferroviaria Napoli-Bari, l’impatto devastante sul territorio e sui nostri vigneti, il continuo danneggiamento di elettrodomestici e impianti idrici, le petizioni annunciate e mai concretizzate, quel tempo che scorre senza che accada nulla. Non lo è la sventura di un uomo egocentrico seduto su una poltrona troppo stretta per lui. Chi se ne frega di gente come lui. Solo che lui in questo paese è uno specchio. È un sfera che guardi e in cui in tanti troppi si riconoscono. Vedono quello che sono, come paese, come individui, come qualcosa che assomiglia a un intero popolo. Lo stesso popolo che da sette anni viene trattato come un popolo bue. E gli occhi del bue ti dicono che in questo paese non c’è riscossa, che il cielo sopra Guardia è sempre più grigio, che da questi sette anni ingannevoli non si esce neppure con un tiro sbilenco e fortunato di Ciciretti in zona Cesarini. Niente, neppure un tiro di sponda. Solo il vuoto e la rassegnazione. Ma questo non è un racconto sul calcio, ma sulla vita di una antica comunità che, purtroppo, agli albori del Terzo Millennio, pare si compiaccia di vivere “orgogliosamente” nel Medioevo; su come ci sono personaggi che sanno essere uomini, ma anche gente mediocre e palloni gonfiati: sulle guerre di potere e su come siamo bravi certe volte a farci del male. Ci si prepara al Natale e manca la luce, e non solo quella delle luminarie lungo il corso principale. Non c’è più, svanita, evaporata, spenta, al più tenue. Noi guardiesi non ci crediamo più. Guardia è sempre più un’espressione geografica, qualcosa su cui non conviene scommettere, perché non si sa neppure bene cosa stia diventando. E non sarà l’utopia Unesco a salvarla. È, come l’Italia, un battello alla deriva, ormai, dove ognuno pensa ai fatti suoi, dove non ti puoi fidare né dei ladri e né di chi grida onestà. È un vuoto a perdere. È vero. La maleducazione del sindaco nei confronti della minoranza e dei cittadini, il raddoppio ferroviario e la durezza della nostra acqua non saranno certo l’apocalisse, ma valgono come una premonizione: di questo passo ci aspettano altri anni di purgatorio. E meno male che a guidarci ci sono i competenti! Buoni solo a tagliare nastri e a ingozzarsi. Auguri di Buone Feste a tutti (o quasi tutti) i guardiesi!

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