Dopo gli anticipi di ieri (a proposito: grande Benevento), scendono in campo le altre squadre di serie A per l’ultimo turno del massimo campionato italiano. Fino a qualche tempo fa almeno nelle tre ultime giornate di campionato le partite si giocavano tutte la domenica e alla stessa ora perché le squadre che erano il lotta per lo scudetto o per la retrocessione o per l’ammissione alla Champions non potessero avvantaggiarsi conoscendo il risultato delle rivali. Nelle ultime stagioni è stato infranto anche quest’ultimo tabù. Il tutto naturalmente per esigenze televisive. Già, perché oggi la Tv ha stuprato il calcio. Entra perfino nel sacrario degli spogliatoi. E questa pervasività televisiva non è che uno degli aspetti di quel business che ha spogliato il calcio di tutti gli elementi rituali, simbolici, mitici, identitari, irrazionali che ne hanno fatto la fortuna per più di un secolo. Conta solo l’ammontare dei “diritti” televisivi. Tutto sparito. O quasi. Giocatori, anche importantissimi, cambiano squadra ogni anno o addirittura nella stessa stagione. Ci sono squadre che giocano con undici stranieri. Abbandonati i vivai. Del resto appena appare in una squadra di media classifica un ragazzino promettente le “grandi” glielo portano via subito a suon di milioni. Intanto sul campo si assiste a scene grottesche. Una volta c’era un arbitro coadiuvato da due guardialinee. Adesso c’è il “quarto uomo” e il quinto e il sesto piazzati sulla linea di porta. Per decidere su un fallo fanno un’assemblea. Con tutte queste belle innovazioni il calcio da stadio (l’unico, vero, calcio) ha perso dal 1982, anno dell’introduzione del “terzo straniero”, il 40% degli spettatori. Si è ridotto a spettacolino televisivo, da fruirsi solipsisticamente a casa. Il calcio era una grande festa nazionalpopolare, una “festa di tutti”, interclassista. Allo stadio sedevano accanto l’imprenditore e il suo operaio. Adesso, con la politica degli abbonamenti, la “suburra” viene stipata nelle curve dietro le porte . Da interclassista il calcio è diventato classista, riproducendo, come uno specchio, ciò che accade nella società italiana. Dove c’è chi ha Sky e chi non ce l’ha.