Un aria litigiosa. Da ultima spiaggia. Nel Paese si respira una strana aria da fine impero. Ci siamo disabituati al pensiero libero, alla critica, e per contro litighiamo di più, siamo rissosi, cattivi. O con me o contro di me. Si minacciano querele per un nonnulla e si raccomandano cautele. Basta una denuncia per ottenere un effetto di deterrenza. Benigni, preso in castagna, querela Report e mette tristezza e inquieta. La stessa Report, rea di aver trasmesso un’inchiesta sui vaccini che dà noia alle multinazionali farmaceutiche e al compagno senatore Andrea Marcucci del Pd, dell’omonima famiglia regina degli emoderivati e dei vaccini. Crollano più cavalcavia che governi. Il sindaco di Napoli querela chi critica la città. Inquietano gli scandali che vengono a galla. Il sistema si è talmente amalgamato che nessuno ne paga mai le conseguenze. Infatti, le nostre carceri anche grazie a un codice penale emanato nel 1930 non sono popolate di bancarottieri, evasori, amministratori del bene comune infedeli, imprenditori criminali con qualche operaio sulla coscienza, bensì di ladruncoli, piccoli spacciatori, immigrati irregolari quindi colpevoli all’origine, oltre, naturalmente, a qualche omicida, qualche stupratore, qualche mafioso, di quelli tradizionali. Una società apparente ma non sostanziale. Un paese psicolabile dove anche una serie di foto con gli agnellini basta per rilanciare un leader considerato a torto o a ragione da tempo trapassato. Un Paese in cui a un deputato regionale per assicurarsi un vitalizio da 3mila euro bastano solo 5 presenze in aula. Un paese dove un ex premier dichiara solennemente: “Se vince il No chiudo con la politica”. Ma su queste inezie si sorvola.
Ma si può andare avanti così? Governati da una classe politica e dirigente vissuta come un corpo estraneo nel sentimento generale. Dove vige la regola del clan: amici, nemici, dove si parla a comando, o con me o contro di me. D’altra parte, che il 93 per cento degli italiani abbia staccato la spina al filo della fiducia e della considerazione a una classe politica e dirigente come la nostra, più che evidente è conseguente. Gente presuntuosa convinta di aver sempre ragione. Cloni di Kim Jong-Un. Peraltro disarmati. Una classe politica e dirigente di spergiuri, falsi, calcolatori, gente convinta che con i soldi puoi comprarci l’anima, distante dai problemi veri della gente, intellettualmente ignorante, antipopolare, circondata di yesmen and yeswomen, antidemocratica, retorica, forte con i deboli e debole con i (poteri) forti. Facile al vile sberleffo del potente. Cantastorie. Cantastorie destinati a finire simbolicamente al rogo, quando la stragrande maggioranza dei cittadini elettori soffrirà i morsi della crisi e della disoccupazione dilagante.
Una classe politica e dirigente che accusa gli altri di “populismo”, pur praticandolo fino in fondo con “mancette” preelettorali di ogni tipo. Una sorta di laboratorio politico che intende dare vita al prototipo di una nuova classe di mediatori “illuminati”, cerniera esclusiva tra potere e popolo, privando contestualmente quest’ultimo degli strumenti democratici di selezione delle élite dal basso, con la fondata convinzione che tutto ciò non serve più: basta affidare anima e matita copiativa nelle mani dei nuovi “eletti”! Affabulatori, funamboli della parola. Sorretti da statistiche ammaestrate che non danno conto della tempesta dello scontento del cittadino comune che, a causa di una tassazione da record mondiale, paga a peso d’oro servizi pubblici da Terzo Mondo; delle persistenti, pessime prospettive di lavoro per i giovani, per gli espulsi dalle attività produttive per delocalizzazioni. Un castello di carte destinato a non reggere. In un Paese dove il l2% degli italiani vive in famiglie con “grave deprivazione materiale”.
Una classe politica e dirigente sostenuta dai media e da una informazione addomesticata e servile. Da un giornalismo patetico. Da un servizio pubblico radiotelevisivo diventato ormai una rubrica, una fiaba, una miniserie tv. Dove si può ripetere per giorni e giorni lo stesso tg, lo stesso servizio. Uno, dieci, cento servizi-fotocopia che producono lo stesso sgradevole effetto di tranquillità e la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Una comunicazione addomestica. Una narrazione adattata e manipolata per interessi di parte: una versione, una verità “ad usum Delphini”. Non importa che sia vera, ma soltanto che il cittadino ignaro la creda tale.
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro se non che gli asini volano e noi che continuiamo a chiederci: dov’è Igor?