L’Italia si divide nel nome di Renzi. Un titolo corretto, ma freddo, distaccato. Perché l’Italia oggi è investita da un ciclone di sentimenti. Un pugno nello stomaco alle sue viltà. Divisa delusa offesa ferita, i cui ideali giacciono nella spazzatura. Renzi l’ha divisa e colpita al cuore, facendo pensare, scuotendolo, anche chi nella prima fase condivideva il suo pensiero iniziale. E come lui non condivideva le cautele ecumeniche di certa politica e voleva sbriciolare il pigolio del buonsenso. Non conta la correttezza dei suoi argomenti, ma la forza con la quale oggi con il referendum ci costringe a riflettere rappresenta una grave mancanza politica per Renzi. Una mancanza politica che si appesantisce di giorno in giorno nel momento in cui il medesimo rischio viene evocato dal genio di Firenze per far leva sul senso di responsabilità nazionale dei cittadini italiani. Una mancanza politica che giorno dopo giorno ci prende a schiaffi, ci spinge contro un muro (o di qua o di là), insultando la nostra intelligenza, ma risvegliando il nostro orgoglio sopito. Ogni tanto una gaffe, una dichiarazione imprudente, hanno l’effetto di rivelarci cosa c’è dietro al sipario dell’oscena ipocrisia a proposito degli effetti del Si alla riforma, dal taglio drastico dei costi della politica, alla diminuzione delle spese della regione con immediate ricadute sulla cura del cancro, dal contrasto del terrorismo alla perpetua erogazione degli 80 euro, aspettando una estensione dello spot a cura della fatina referendaria con la promessa di debellare le malattie. Dopo di me il diluvio è il refrain, questa la sintesi politica di un personaggio che si ritiene inattaccabile al cospetto di una presunta mancanza di un’alternativa politica spendibile sul piano elettorale. Ed è soprattutto per questo suo ostentato delirio di onnipotenza che Renzi ha messo in piedi una riforma costituzionale pensata quasi esclusivamente come prova di forza per rinsaldare la sua posizione di “uomo solo al comando”. Ecco. Devo essere sincero. Non so come andrà a finire ma il voto al referendum sarà per molti il calcio violentissimo sferrato contro il castello delle ipocrisie di questa classe politica. E non basterà la risposta lanciata dall’informazione ufficiale e paludata perché la controinformazione che si incarna nella rete è molto più efficace di quanto non si creda. E giorno dopo giorno smentisce le chiacchiere e le false speranze. Conclusione: votare No a questa riforma è un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.