Sta di casa in un Comune, ma a sua insaputa. Fa pagare l’Imu, ma a sua insaputa. Ha accanto alla scrivania decine di inginocchiati, di azzerbinati (sempre a disposizione, ci mancherebbe), che lo ricoprono di saliva, ma a sua insaputa. Cumpà (compare) che ti serve? Un permesso su misura? Non c’è problema: la sartoria municipale è pronta a cucire provvedimenti su misura. È il leccaculismo pret a porter, ma sempre a sua insaputa. A settembre verrà processato per direttissima il responsabile dell’ufficio che si occupa di lavori pubblici e appalti, ma a sua insaputa. Per altro, se mai negli anni è successo qualcosa di brutto tra un appalto e l’altro, è chiaro che è tutta colpa dell’architetto. O forse dell’ingegnere, del geometra, ma sempre a sua insaputa.
Quando si dice essere sportivi: il campione olimpico nonché portatore sano di cilicio e contabilità è uno che sa prendersi le sue responsabilità fino in fondo. E infatti le scarica sul primo che passa dalle parti del Comune: “Se succedeva qualcosa di poco trasparente, era a mia insaputa”, dice. E poi: “Mi sono affidato sempre a persone che non hanno mai fatto il mio interesse”. Brutti cattivoni. Sembra uno di quei bambini che viene beccato con le mani nella marmellata: “Non è colpa mia”. E di chi? Del gatto. Del cane. Del fratellino. Della sorellina. Di chiunque. Ma soprattutto dell’ingegnere, del geometra o dell’architetto che “ancora l’anno scorso a precisa domanda ha risposto che era tutto a posto”.
Quasi quasi glielo dico alla moglie, che così lo mette in castigo.
Non contento di aver finora svicolato dalle proprie responsabilità, questo campione di sfacciataggine finisce pure per lamentarsi. Anzi, di più, finisce nel piagnisteo dell’amministratore pubblico senza vita privata. Da quando è entrato in Comune, infatti, ci ha rimesso molto “sul piano economico”. Poveretto, come fate a non capire? Insomma da quando è lì “guadagna meno e vive peggio”. Che tortura. Ma allora perché non cogliere subito la palla al balzo? Perché non dimettersi subito mettendo fine a questa vita di stenti? “Ha pensato di lasciare”, ammette l’inginocchiato prediletto. Ci ha pensato. Ma poi ha deciso di no. Guarda un po’, a volte, la gente com’è masochista. Ama soffrire. Ma mica perché sia attaccato alla poltrona, macché, che cosa vi viene in mente? Lo fa “per spirito di servizio” e perché “gli interessa il progetto”. Si capisce: gli interessa il progetto.
Ma poi divaga subito. E attacca: “Non posso accettare che venga messa in dubbio la mia onestà”. Ma certo: come vi permettete? L’ingegnere, il geometra o l’architetto faceva qualche scambio e da sei mesi è ai domiciliari, ma è a sua insaputa. Tesi traballante. Chi osa mettere in dubbio la sua onestà? E poi era a sua insaputa. E comunque è sempre colpa dei tecnici. “Se ci sono state irregolarità, farò come qualunque cittadino”, è costretto infine ad ammettere di fronte ai fatti grandi come una casa, anzi come un appalto.
Qualcuno, però, potrebbe gentilmente spiegargli che lui non è un “qualunque cittadino”?