C’è un paese nel cuore del Sannio dove la modernità non arriva in ritardo: semplicemente, ha deciso di non fermarsi. Benvenuti a Guardia Sanframondi, dove la parola d’ordine è “chiudere”, non aprire. D’altronde, perché ostinarsi a offrire servizi a cittadini sempre meno numerosi, quando si può elegantemente spegnere la luce, chiudere il sipario e augurare a tutti una buona emigrazione?

Partiamo da un classico: le banche. Le due filiali – tra bombe carta e servizi di cassa – hanno deciso che servire i clienti fosse sopravvalutato. Gli sportelli chiudono, i bancomat vengono fatti saltare in aria allegramente dopo una certa ora (probabilmente per non disturbare il loro meritato riposo notturno). L’ufficio postale? Un altro tempio dell’efficienza, ma a orario ridotto. Il Postamat, quello che nei paesi civili è attivo H24, qui si comporta come un bravo impiegato pubblico degli anni ’70: dopo una certa ora non ne vuole più sapere, si blocca, e se vuoi ritirare due spicci dopo le 20… be’, spera di averli sotto il materasso e torna domani. Forse.

Nel frattempo si continua a morire, perché non c’è un’ambulanza.

E poi c’è il fiore all’occhiello: il Liceo Scientifico. Sì, quello che sarebbe potuto essere un presidio culturale, un investimento sul futuro, un luogo in cui i giovani avrebbero potuto formarsi senza essere deportati quotidianamente in altri centri. Ma i ragazzi, evidentemente, hanno fatto i bagagli prima ancora di iscriversi. Così il liceo, l’anno prossimo, chiuderà nella più totale indifferenza istituzionale, come se fosse un capannone dismesso e non un luogo d’istruzione.

E vogliamo parlare della sezione distaccata del tribunale, chiusa già da qualche anno? O del Giudice di Pace? Altrove, gli avvocati locali si sarebbero incatenati ai cancelli, avrebbero fatto scioperi della fame, marce funebri, perfino flash mob in toga. A Guardia, invece, tutto fila liscio: chiudono? Pazienza. Una scrollatina di spalle, un comunicato stampa di circostanza (quando va bene), e avanti così, verso l’irrilevanza.

Nel frattempo, altrove, le amministrazioni comunali si battono, protestano, bussano alle porte dei ministeri, occupano scuole, bloccano strade. A Guardia, invece, si preferisce il galateo istituzionale del declino: si sorride, si minimizza, si accetta ogni chiusura come fosse un’evoluzione naturale.

Il problema non è lo spopolamento, ma l’assenza di una politica capace di immaginare un futuro. Ci hanno detto che è colpa delle “aree interne”, come se fosse una malattia geografica. Ma la verità è più scomoda: non è il territorio a essere condannato, è la classe politica e dirigente a non volerlo salvare. Va bene così. Tanto Guardia continua a essere fotografata, raccontata, idealizzata. Ma mai governata davvero. In questi anni, mentre si moltiplicavano le narrazioni patinate, i proclami sulla “rinascita del borgo”, le rievocazioni in costume e le “strategie per il turismo sostenibile”, nulla è cambiato. Anzi.

I numeri parlano chiaro: la popolazione cala, i giovani se ne vanno, le attività economiche chiudono, e la sensazione di abbandono si fa più concreta di qualsiasi murales celebrativo. Nel frattempo, sui social, fiorisce la solita estetica della nostalgia: carretti, vendemmie, nonne con il grembiule, pietre antiche e tramonti. Tutto vero, tutto bello. Ma non basta. Perché dietro ogni scatto bucolico, resta il silenzio assordante di chi amministra senza visione, senza coraggio, senza azione. La classe politica locale, salvo rare eccezioni, ha fallito: incapace di cogliere le trasformazioni in atto, prigioniera di micro-clientelismi, lontana dalle reali esigenze di chi abita il paese tutto l’anno. Eppure Guardia non è un’installazione da Instagram. È un luogo vivo, fatto di conflitti, bisogni, desideri, dove la memoria ha senso solo se è strumento per costruire il futuro, non se è ridotta a folklore. Continuare a investire in eventi autoreferenziali, in sagre goderecce che durano qualche giorno, in restauri simbolici, senza una visione strutturale, è un crimine politico e culturale. Guardia ha tutti gli strumenti per diventare un modello. Non un “borgo perfetto”, ma un luogo dove si sperimenta un altro modo di vivere, lavorare, accogliere.

Non serve inventare nulla.

Serve riconnettere ciò che già esiste: abbiamo la migliore cooperativa vinicola d’Italia. E poi? Costruire un piano turistico pluriennale serio, che superi la logica dell’evento estivo. Promuovere percorsi tematici sul paesaggio, le migrazioni, la cultura contadina, ma anche sull’arte contemporanea, l’ecologia e la rigenerazione. Mettere a sistema le case abbandonate: censirle, coinvolgere i proprietari, aprire a residenze artistiche, co-housing rurali, laboratori di artigianato e ospitalità diffusa. Finanziarne la manutenzione, non solo l’estetica: le strade, le infrastrutture, i servizi essenziali devono funzionare, non solo apparire. Il decoro non può essere solo facciata. Chi vive qui tutto l’anno deve avere voce. È finita l’epoca dei progetti calati dall’alto.

Non si tratta di negare la bellezza, la memoria, la nostalgia di Guardia. Tutt’altro. Questi elementi sono parte della sua identità profonda. Ma vanno trattati con responsabilità. Non come merce da vendere, ma come strumenti per rinnovare il patto tra chi resta, chi torna e chi arriva. Bisogna ricominciare a raccontare Guardia per quella che è: un luogo denso, difficile, ma possibile. Non più solo i tramonti. Ma le finestre sbarrate, i ruderi, i negozi chiusi, le mani callose, le rughe vere. Le panchine colorate vuote d’inverno. I ragazzi che partono. Le donne che resistono. Gli anziani che aspettano. I bambini che mancano.

Solo partendo da qui si può costruire una Guardia che non sia solo raccontata, ma finalmente abitata. Con giustizia, visione e futuro. Invece? Un paese condannato non all’oblio, ma alla rassegnazione silenziosa. E mentre altrove si lotta, si resiste e si spera, a Guardia Sanframondi si celebra l’estinzione con un garbo quasi aristocratico.

Ma tranquilli: quando anche l’ultima banca, l’ultimo ufficio, l’ultima scuola, l’ultimo negozio e l’ultimo cittadino avranno chiuso, ci sarà ancora qualche post su Facebook dell’amministrazione a ricordarci che “va tutto bene”.

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