Esiste un paese, Guardia Sanframondi, a cui la storia ha riservato uno strano destino. Un paese come tanti altri, una piccola cittadina, un punto sulla collina inevitabilmente condannato a diventare principe di un regno fantasma. Guardia sorge (o sorgeva o non è mai sorta perché è sempre esistita) a guardia di una valle che ne circonda per larga parte l’estensione, un grande vaso pieno di case e uomini come di terra e viti. Questo è un invito. Un invito a raggiungere Guardia! A Guardia puoi camminare nel luogo che, senza saperlo, hai sempre desiderato conoscere, dove nulla ha senso, o forse tutto ha il senso che vuoi dargli; le case della sua parte antica, mantengono il senso che credevano di avere una volta, mantengono il senso del loro passato, la traccia di un’origine ormai impossibile da datare. Questo è un invito. Un invito a raggiungere Guardia nell’anno dei Riti del 2024! I Riti Settennali. Ogni sette anni, un numero celeste. Il senso della fede. Che riaffiora ogni sette anni. Un inno alla vita in ciò che Guardia ha di più sacro. La descrizione delle proprie radici, dell’amore quasi filiale che eredita dai padri e dalle madri. Ciò che ha di più caro. La “Festa” della Madonna dell’Assunta. I “ritorni”, numerosi, intensi. Il “vuoto” che scompare. Un nuovo senso sacro del luogo. Guardia Sanframondi. Un luogo dove ogni sette anni il tempo sembra, davvero, annullarsi. Dove sentimenti, emozioni, affetti, ricordi, presenza di quelli di prima, che continuano a parlare, e di quelli che ancora, ad ogni età, continuano a restare e pregare, danno (anche a chi non è “devoto”) un senso di eternità. Un atto di fede? L’esibizionismo di un intero popolo? Di sicuro è uno dei pochi momenti utile ad attenuare il dolore e donare un po’ di conforto, fosse anche mera illusione. L’emozione profonda. L’attesa del passaggio della statua. I “Flagellanti”. Il “Sangue”. L’attimo per capire, pregare e piangere, parlare e interrogarsi. La gente ferma davanti alle porte chiuse e vuote di case abbandonate per “prendere il posto” degli assenti, di chi non c’è più, per fare vivere in qualche modo la loro casa. La “Festa”. Ci sarà tanta gente a Guardia Sanframondi, certo. Tutto è uguale e niente è come prima. Tutto è passato e qualcosa resta. Qualcuno vedrà, qualcun altro immaginerà, con gli occhi umidi la gente nel momento in cui la statua entra in chiesa e ascolterà, o piangerà ricordando quelli che non ci sono più. Saluti e abbracci nel caldo afoso, anche sotto i porticati secolari. Qualcuno dirà che le stradine del centro storico di una volta erano belle, piene di vita e di allegria. Sentirà una marea di ricordi e di affetti che sono volati via, in un attimo che è la vita, e forse sentirà che il tempo a Guardia non è mai passato, ma non sa come raccontarlo. Solo vivendo queste storie, si può capire di cosa parliamo. Si possono capire emozioni e sentimenti, che sono soltanto di chi li vivrà, li ha vissuti, o ne è stato vissuto. La litania cantata dai devoti, il canto struggente e nostalgico in onore di Maria e le preghiere e le invocazioni alla Madre di Dio, i canti che donne e uomini fanno durante la veglia; i cori dei rioni, le rappresentazioni viventi di quadri dell’Antico e Nuovo Testamento, interpretati da persone del luogo, ricreati in maniera minuziosa, in ogni dettaglio, mentre ogni angolo, ogni balcone, ogni terrazza con i fedeli e le persone venute anche da lontano e da paesi vicini, ospita un mare di emozioni e commozione. “Festa” che racconta e riassume incontri e divisioni, oltre a creare aggregazione, socialità, memoria, cultura, sentimento religioso, partecipazione e organizzazione. Dove tutto rimane, niente da cambiare. La statua portata in processione non grazie a un “incanto”. Non perché messa all’asta. Non ci sono trattative, offerte che danno il diritto di portare le aste dell’impalcatura che regge la statua, ricolma di collane, bracciali e monili d’oro. L’estate del prossimo anno gli emigrati che tornano ormai saranno sempre meno. Ci sarà tanta gente, certo. E ognuno ricorderà qualcosa. Qualcuno scoprirà nuove cose. Tutti diranno: non è più come una volta. Tutti diranno che, però, la “Festa” resta sempre bella e commovente. Ognuno ricorderà un familiare defunto con cui andava, ogni anno, al Santuario, ai tanti e alla tante che sono andati via. Questo è un invito. Un invito a raggiungere Guardia! Perché il rilancio di questo paese significa anche questo. Non significa solo ristrutturazione di case vuote o gettate di cemento inutile: se Guardia vuole salvarsi bisogna rilanciare la comunità, le sue tradizioni, le storie. Le persone del passato avevano un senso sacro dello spazio in cui abitavano, vivevano, producevano. Oggi assistere con sguardo vicino e lontano a un rito che lega generazioni di guardiesi e vedere che tante cose rischiano di finire per sempre, e non sono nemmeno narrabili, è un richiamo a una tradizione di fede e di cultura che in realtà può produrre nuove forme di energia e socialità oltre al sacro. Continuità e rotture. Anche se il luogo oggi è frantumato e frammentato, desacralizzato, ogni guardiese sente che da qualche parte dentro di sé c’è la ricerca di una nuova sacralità che riporta anche alla “Festa”, alla terra, alla vite e agli ulivi, ai legami diretti e veri, che cellulari e smartphone non riescono a cancellare del tutto.

A volte penso che questo luogo – che ha un nome e un cognome – che si spopola grazie a una classe politica vaga, reticente, adolescenziale, sia destinato a morire, altre volte mi pare che continui a mandare segnali di vita, bisogno di presenza, che questi Riti da molti liquidati come arcaici sanno affermare più di tante sagre e “passarelle” estive dispendiose e inutili. Qualcuno a Guardia forse dovrebbe fermarsi, cercare le molliche per terra, ritrovare la strada e camminare in una direzione diversa da quella finora imboccata e che non porta da nessuna parte.