Siate visionari

Dunque, chi ha vinto? Chi ha perso? A tirare le somme, direi è stato un voto intelligente. Si, intelligente, come il rumore sordo delle cose incrinate, spaccate in due, come quei ventuno voti di differenza, che ci consegnano però un paese spaccato in due. Ma intelligente anche nel senso di fiducia, aspettativa. Perché ci dice tutto sul futuro che ci aspetta, dà indicazioni, fotografa uno stato presente, e ci invita a non seguire sentieri già tracciati da altri. Intelligente è stata anche la campagna elettorale, intelligenti alcuni slogan; intelligenti molti candidati vincenti e perdenti. Un voto statico più che stabile, per paura del virus chiamato Floriano. Non lo votate, così il virus non si accorge di voi, era il detto e non detto. C’erano tutte le condizioni per un cambio di guardia. Anche se c’è ancora un apparato, una rete di interessi, difficile da espugnare. È stata una sfida aperta e l’esito, visto il clima, non scontato. È stato come assistere a un combattimento tra galli, su cui fioccano le scommesse. C’era chi alzava di più la cresta e più colpiva col becco e c’era chi pareva più solido, meno vulnerabile. Ma nel combattimento non è morto nessuno e gli scheletri sono rimasti ben chiusi nell’armadio. Per il resto non è stata male la sfida; come è quasi sempre accaduto a Guardia e come si dovrebbe fare in democrazia. La sfida è stata un fatto positivo di civiltà politica. Ci ha guadagnato Guardia, anche se non ha avuto un gran ruolo come direttore d’orchestra eclissata sul ballatoio tra Falanghina, turismo e mancanza di visione. La visione, appunto. Ogni comunità è animata e sorretta da una visione. Una concezione della vita in relazione alle cose visibili e invisibili, concrete e spirituali. Nel caso di Guardia si lega ai caratteri, i costumi e le tradizioni dei guardiesi, proviene dalla religione, si riconosce nella sua storia. Nell’ultimo decennio la società guardiese si è connotata per l’assenza di una visione. Solo un processo teso al proprio particolare e a uniformare le differenze e a spegnere idee e pensieri. E in una società cieca, priva di visione, e dove la prospettiva di ciascuno è solo nella sua feritoia, non ha più senso avere una visione generale delle cose, in rapporto alla comunità. Ciascuno sceglie la sua strada. E se qualcuno si ostina a coltivare questa pretesa, deve renderla introversa, legata alla sua dimensione privata, riducendo visioni comunitarie a intime convinzioni. Lascio ad altri il compito di giudicare se tutto ciò sia stato per Guardia un progresso o un regresso, se sia stato un segno d’emancipazione o di degrado. Ma da guardiese quale sono, reputo grave la perdita della visione comunitaria. È inutile continuare a negarlo, oggi Guardia è soltanto una terra stagionale, esiste solo d’estate. Per il resto Guardia come entità culturale e sociale non è più presente, ma solo passato. Se dici Guardia Sanframondi oggi cosa ti viene in mente? A parte i Riti, qual è il luogo, il simbolo, la cosa, la persona che più la rappresenta? Rispondo senza esitazioni: poco o nulla. E non è certamente la Falanghina a incarnare l’essenza di Guardia, come dicono i nostri viticoltori e i seguaci di Floriano; ma non è nemmeno la cultura e le sue bellezze paesaggistiche, i pochi intellettuali o il filone identitario, ormai decimati e scomparsi. Non basta tornare indietro, alla natura, all’estate che abita dentro di noi, all’infanzia, alle prime comunioni, ai matrimoni, ai funerali teatrali. Questa Guardia oggi è solo dei guardiesi superstiti ma anche dei guardiesi oriundi, emigrati di prima o seconda generazione. Questa immagine di Guardia come luogo del passato, ci conferma che Guardia non è più presente ma ricordo. E quel che vediamo è il residuo, in certi casi il rottame, il vintage, o più nobilmente l’aura che resta ora che Guardia è sparita. Non è una percezione onirica o solo emotiva, la nostra, è un fatto reale se si considera il pauroso calo della popolazione, la fuga dei giovani. C’era una volta Guardia. Tutta la passione che suscita è soltanto nella forza sanguigna dei ricordi, in quell’odore di arcaico o di antico che promana dai suoi luoghi, dalla sua cucina, dai suoi modi di fare. La Guardia che piace oggi è quella che non c’è più, è quella che abita la credenza dei ricordi, il comò della nonna, i giochi da bambini, la civiltà del pane. Cari nuovi amministratori, prendetene atto; fate di necessità virtù e trasformate, come si dice, una perdita in una risorsa, a cominciare dalla qualità della vita, dall’habitat, dalle cose semplici però importanti. Magari in quel “c’era una volta” c’è la vera attrazione di Guardia e la sua trasformazione in calamita. Ma Guardia è anche la possibilità di trascendere lo stato di cose presenti, di non accontentarsi degli assetti vigenti, e dunque cimentarsi in imprese, proiettarsi in scenari futuri. Dalla visione comunitaria sorge lo spirito visionario di chi sa vedere oltre e realizzare quel che ancora non c’è. Il visionario è il fiore che dà frutti. Se vuoi conservare il paese devi provare la gioia delle cose durevoli, devi amare la tradizione e le sue eredità, devi amare Guardia, ma devi anche scioglierla nel globale, devi innalzare argini e barriere e non godere dei muri crollati e dei confini violati; devi capire che un paese così fu fatto nei secoli da generazioni che amarono la propria comunità, e così trasmisero una cospicua eredità.

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