Strano Paese, il nostro. Strano popolo il nostro che assiste silente al De Profundis dell’informazione. Che non rimane basito di fronte a tanta spudoratezza, tale da togliere il fiato, che fa scivolare l’intera categoria alle soglie del ridicolo. A un punto tale di asservimento e di conformismo che il giornalismo in Italia è, ormai, un bene raro, cloroformizzato, venduto al potere e piegato a 90 gradi. Il guaio è che così si finirà per corrompere ancora di più lo spirito della libertà individuale. E se dite che non è vero è solo per miopia.
Strano Paese, il nostro. Capisci le priorità dell’Italia dal fatto che ci hanno spiegato più volte come si vota a Sanremo rispetto a come andremo a votare il 4 marzo. Dove l’esercizio dell’obiettività, della neutralità, dell’imparzialità… è divenuta solo ideologia. Persino la libertà di pensiero e di parola della gente oggi è compromessa. Ne abbiamo manifesta testimonianza nella società, nella politica, sulla stampa, in quelle trasmissioni televisive, in quei talk-show campioni di quel giornalismo di opinione che pretendono di raccontare i fatti, la realtà, senza filtri, ma che invece mostrano una faziosità subdola quanto palese.
Strano Paese, il nostro, quello che nella campagna elettorale scatena nella pattuglia mediatica una dose di veleno e di accanimento inverosimile nei confronti degli avversari. Sulla stampa, sui media, nei talk-show televisivi si assiste letteralmente a un assedio nei loro confronti nel tentativo solito di farli inciampare malamente. Si tratta oramai da parte dei giornalisti, degli opinionisti e dei cosiddetti intellettuali, ossessionati a sparare a zero con l’intento di creare difficoltà e basta, di una sorta di rito piuttosto rozzo, specialmente se le domande per quanto a raffica, strumentali e per certi versi diabolicamente demenziali sono sempre le stesse. Insomma, i soliti tentativi di far credere che tutto quanto venga proposto da loro sia ridicolo e inapplicabile. Un vergognoso esempio di parzialità, di cattivo gusto, e molta arroganza. Quella stessa arroganza che oggi uno può tranquillamente elargire a senso unico perché deriva dal pensiero unico, quello che deve prevalere ad ogni costo. Anche contro la realtà, anche contro il volere della maggioranza degli italiani, anche contro la semplice verità delle cose che in trasmissioni così viene semplicemente massacrata, o macerata ad arte, che dir si voglia. L’arroganza che fa sì che nella totalità di questi interventi non si senta una sola parola sul futuro di questo Paese, sull’Italia spaccata in due: chi ha soldi e benessere – tutti premiati, tutti ben cautelati e festosi dentro il “recinto” -, contro gente comune, senza più lavoro, scomparsi dai radar della politica. Sul disagio sociale che dilaga in Italia, da loro chiamato “rancore”. Pazienza, si dirà. I giornali possiamo, volontariamente, ignorarli. E di certe trasmissioni possiamo effettivamente fare a meno. È inutile combattere di fronte a un blocco di potere politico e mediatico talmente enorme e granitico. Ormai la sua difesa è un affare di Stato. Le delegittimazione dell’avversario è un affare di Stato. Lo sbrigativo anatema del “populismo” per delegittimare e silenziare il malessere del popolo è un affare di Stato. Oggidì non incazzarsi vuol dire avere uno stomaco di struzzo!
Strano Paese, il nostro, con uno strano popolo. Che grida e poi abbassa la testa e si fissa davanti al festival “indimenticabile”, fatto di lustrini e mamme, amore e cuore che “ha riportato in televisione l’educata ironia, il garbo, e l’inedito piacere della denuncia. Lasciando aperte le porte a un briciolo di speranza: forse ce la possiamo fare”. Ce la possiamo fare? L’inedito piacere della denuncia? Ma qual è il problema mentale che affligge certa gente? Ma sì, ce la possiamo fare! Non c’è dubbio alcuno su questo, abbiamo imboccato da un bel po’ di tempo la strada giusta.