Turisti, curiosi, emigrati che tornate a Guardia nelle prossime settimane, per popolarla con un linguaggio tutto vostro: perché i vostri padri e i vostri nonni sono partiti da qua che erano ancora bambini, sapendo appena qualche parola di dialetto, e poi cresciuti in Germania, in Gran Bretagna, in America, in Australia, in Argentina, a sgobbare e a fare fortuna. Ma cosa ci venite a fare a Guardia se, oltretutto (è evidente), non c’è più neanche la sacralità dei Riti? Per fare numero, per far contento il ministro Franceschini, per contribuire ai record delle presenze turistiche nella comunità del Narciso? Cosa ci venite a fare se ormai questo paese è solo una allegoria. Perché qui ci trovi, ci leggi, solo la personificazione del Vanesio innamorato di sé. Perché la nostra, la vostra è diventata una comunità abbandonata a se stessa; l’illusione di un paese amministrato dai cittadini, lo sguardo di chi continua ad inebriarsi di passato e se ne va con il sospetto di aver sbagliato paese; l’incapacità della politica di rispondere a qualsiasi domanda, il modo in cui ci siamo incartati, l’idea che il buon senso sia una merce sempre più rara; e quella sensazione di naufragio. Ma cosa ci venite a fare se quello che si sente non è l’odore della bellezza. È monnezza. La bellezza è solo esibizione a Guardia. Se chiudi gli occhi scompare, sparisce, passa, tanto questo paese mica si scandalizza. Ne ha viste tante e niente rimane. La monnezza no, ti si appiccica addosso. E non è solo una questione di rifiuti abbandonati, pezzi di vita sparsi a terra, rifiuti sparsi lungo le strade, scarti o pantegane grasse e lente che passano davanti alle antiche chiese del centro storico, quella monnezza è un’ombra, un profilo, come un confine, una sorta di parassita morale che si arrampica fino al cervello e ti segue, e poi si diffonde in tutte le arterie e si perde nelle vene di ogni angolo di Guardia. Una monnezza tatuata sulla pelle, e che quasi non sentiamo più, il segno di un paese incancrenito. E lo sguardo di chi arriva da turista per inebriarsi di passato e magia se ne va con il sospetto di aver sbagliato strada, perché da tempo le strade non portano più a Guardia. Siamo soltanto un popolo interessato solo a trovare il modo come passare il tempo, con una classe politica che fa il possibile per accontentarci, giustificando il suo impegno in nome del turismo, di una fantomatica offerta culturale, della promozione del territorio, di una offerta economica che non arriva e non arriverà certo in nome di una festicciola stile Beautiful. Nell’illusione che la cultura in questa comunità sia ovunque, facile, a buon mercato e senza sacrificio alcuno, stiamo lasciandoci addormentare cullati da un concertino, felici delle nostre illusioni e del nostro nulla. È questo, cari emigrati che tornate ogni sette anni, che troverete a Guardia. Sono questi gli anni che viviamo e che nessuno vi racconta. Chissà, tra qualche settimana, magari, qualcuno di voi si chiederà come siamo diventati rassegnazione. Senza identità, senza punti di riferimento, senza mappe, senza certezze. E perché, come i vostri padri e i vostri nonni in molti sperano di andarsene, sognano anch’essi la fuga, neppure più per sé, ma per i figli. E magari si chiederà come siamo diventati un luogo di passaggio, un posto provvisorio per stranieri annoiati, un vicolo stretto e lungo. Un luogo nel quale, al netto della narrazione, quello che si sente è soltanto un vento di scirocco, caldo e appiccicoso, dove non si muove foglia, dove tutto è fermo. Non per colpa, ma per scelta di chi oggi la incarna, e la racconta, falsificandola. Non è disfattismo, cari emigrati che ogni sette anni tornate alle vostre origini, Guardia non è più come l’avete lasciata: Valore, Tradizione, Fede, Passione. È solo l’ombra che annuncia la disfatta. Dobbiamo rassegnarsi all’estinzione? No, perché in questo paese, il vostro paese, c’è ancora gente che si sente sempre con la coscienza a posto, onesta, abituata a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa dovrebbe fare. Capace ancora di indignarsi. Capace di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati. Che il potere non lo trova abbastanza interessante per sognarlo per sé (o almeno quel potere che interessa ad altri). Guardiesi onesti, non per qualche speciale ragione; onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, insomma non possono farci niente se sono così, se la loro testa funziona sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altre persone. Ma che soprattutto non vogliono vivere in un paese che si regge sul narcisismo e sull’immoralità.