Cinque anni dopo l’epocale promessa del “Cambiamento” targato Di Lonardo, Guardia Sanframondi sembra aver giocato una partita in cui la palla buona non è mai arrivata in porta. Anzi, a guardare da fuori, sembra più un tiro al piccione da cortile: rumore, qualche colpo d’immagine, ma niente di davvero incisivo.

Il 2020: l’anno delle grandi aspettative. Cinque anni fa, quando l’amministrazione Di Lonardo si insediò a Guardia, l’atmosfera era frizzante: si parlava di svolta, di rinascita, di visioni lungimiranti. Insomma, del solito pacchetto elettorale completo, quello che ogni comunità rurale conosce bene: un mix di entusiasmo, slogan ben oleati e la certezza — quasi antropologica — che “questa volta sarà diverso”. Il programma della lista EsserCi prometteva una rivoluzione: rigenerazione urbana, partecipazione attiva dei cittadini, valorizzazione del patrimonio storico e culturale, sviluppo turistico legato all’enoturismo e ai Riti Settennali, modernizzazione delle infrastrutture. Tutte parole d’ordine che risuonavano come musica per le orecchie di una comunità stanca dell’immobilismo.

Poi sono passati cinque anni. E oggi, nel tirare le somme, ci accorgiamo che il cambiamento c’è stato: peccato fosse in modalità “risparmio energetico”. E qui, come dire… si passa dalla fiction alla docu-realtà. A parte l’ordinaria amministrazione — perché quella, bene o male, la fa anche un sindaco fantasma — è difficile individuare un’opera simbolo, una di quelle che la comunità guarda e dice: “Sì, questo è stato fatto adesso, da questa amministrazione”.

Qualche progetto avviato? Certamente. Qualcosa bolle nella pentola urbanistica: il campo sportivo è stato finanziato (ma sembra — dopo una ricerca online — non ancora appaltato). Il condizionale è d’obbligo quando si parla di tempistiche e appalti, quella terra di mezzo dove i progetti si trasformano da certezze elettorali a possibilità amministrative. Qualche cantiere aperto, come le nuove condutture dell’acqua? Sì, cantieri e disagi sempre piacevoli da fotografare per i comunicati stampa. Qualche finanziamento intercettato attraverso bandi regionali ed europei? Capita, e va riconosciuto. Ma opere compiute, trasformative, riconoscibili? Quelle che cambiano il volto di un paese e restano nella memoria collettiva come simbolo di un’era amministrativa? Ecco, lì la nebbia scende fitta come in una mattina d’inverno sulla valle del Calore.

La differenza tra “abbiamo ottenuto il finanziamento” e “abbiamo inaugurato l’opera” è la stessa che passa tra promettere e mantenere: un abisso che in cinque anni sembra essersi allargato anziché colmato. Promesse altisonanti, risultati… più modesti. Come dicevamo, quando Di Lonardo è salito al potere con la lista EsserCi, il programma era ambizioso: cambiamento radicale, rigenerazione urbana del centro storico, partecipazione democratica diffusa, infrastrutture materiali e immateriali, rilancio dei valori comunitari. Un manifesto programmatico che sulla carta aveva tutto: visione, concretezza, ambizione. Eppure, a cinque anni dal suo insediamento, l’opposizione non esita a usare parole dure. Il che, in politica, è normale. Meno normale è quando le critiche più affilate arrivano da dentro: ad esempio, il gruppo “Rinascita Guardiese” — ricordiamolo: parte integrante della maggioranza che sostiene il sindaco — non usa mezzi termini e parla di amministrazione “svuotata, asfittica, priva di slancio e credibilità”.

Quando i tuoi alleati iniziano a parlare come l’opposizione, forse è il caso di interrogarsi. Non proprio il rinnovamento che si annunciava con tamburi e fanfare cinque anni fa. Anzi, suona più come il fischio finale di una partita che non ha mai davvero avuto il suo momento clou.

La frattura interna alla maggioranza — tenuta nascosta ma confermata nei fatti — ha rappresentato il sintomo più evidente di un disagio che va oltre le normali dinamiche politiche: è il segnale di aspettative deluse, di visioni non condivise, di promesse che si sono dissolte nel quotidiano amministrativo.

Ma cosa (non) è stato fatto davvero? L’elenco sarebbe lungo se solo ci fosse un elenco ufficiale. Ma questo è il problema: manca una rendicontazione chiara, un bilancio pubblico e trasparente delle opere realizzate. Niente di confrontabile con le promesse elettorali, nessun documento che i cittadini possano consultare per capire cosa è stato fatto, cosa è in corso, cosa è rimasto nel cassetto. Così, in assenza di dati ufficiali, restano le conversazioni ai banconi dei bar, quel termometro sociale che nelle piccole comunità funziona meglio di qualsiasi sondaggio: “Doveva partire un progetto…”, “Avevano detto che sistemavano…”, “Si parlava tanto di…”. Tutte frasi che iniziano con slancio e finiscono in sospensione. Un po’ come i progetti stessi. Del resto, cinque anni sembrano lunghi quando si aspetta qualcosa, ma brevissimi quando bisogna realizzarla. Il problema è che spesso i cinque anni passano e ci si ritrova ancora nella fase dell’attesa, senza essere mai entrati davvero in quella della realizzazione. Mancano le opere simbolo, quelle che segnano un’epoca: una piazza riqualificata, un edificio recuperato, un servizio innovativo, un’infrastruttura moderna. Quelle cose che, tra vent’anni, qualcuno indica dicendo: “Quello lo fecero quando c’era il sindaco tal dei tali”. Invece, il rischio concreto è che di questi cinque anni resti solo un generico ricordo di “si parlava tanto, ma poi…”.

E la comunità? A parole è sempre al centro dell’azione amministrativa. Nei comunicati, nelle dichiarazioni, sui social: “Lavoriamo per i cittadini”, “Ascoltiamo le esigenze della comunità”, “Insieme costruiamo il futuro di Guardia”. Formule ripetute con la costanza di un mantra. Nella pratica, però, per molti cittadini l’unica azione realmente percepita è stata il progressivo affinamento dell’arte dell’annuncio: un esercizio costante, quasi ginnico, che non ha richiesto grandi investimenti se non in creatività linguistica. Un’arte raffinata che consiste nel far sembrare imminente ciò che è ancora lontano, nel trasformare intenzioni in certezze, progetti in realizzazioni.

La partecipazione democratica tanto sbandierata nel programma elettorale? Ridotta spesso a post su Facebook in cui l’amministrazione informa su decisioni già prese, più che ascoltare proposte e critiche. Il dialogo con i cittadini? Intermittente, selettivo, mediato dagli schermi. Manca quello che nelle piccole comunità dovrebbe essere il vero capitale politico: la fiducia quotidiana, costruita attraverso la presenza, l’ascolto, la capacità di rispondere non solo quando arriva il momento elettorale ma ogni giorno, davanti ai problemi concreti delle persone. Quella fiducia che si guadagna non con gli annunci ma con i fatti, piccoli o grandi che siano.

Qual è, allora, il bilancio finale? L’impresa più difficile che si possa compiere al momento. Cinque anni dopo, Guardia Sanframondi non è sprofondata: questo va detto. Ma non è nemmeno decollata. È rimasta lì, sospesa in quel limbo tutto italiano tra entusiasmo e immobilismo, tra promessa e proroga, tra “stiamo lavorando per voi” e “ci stiamo ancora lavorando”. In fondo, il vero miracolo è questo: riuscire a governare cinque anni dando l’impressione costante di star per fare qualcosa di importante… senza mai correre davvero il rischio di farla.